Iran. Decine di detenute con la Nobel Narges Mohammadi: il suo processo sia pubblico
Narges Mohammadi in una foto del 2005
L'8 giugno prossimo Narges Mohammadi, premio Nobel per la pace nel 2023, sarà ancora di fronte ai giudici. L'udienza riguarda nuovi capi d'imputazione per l'attivista iraniana, vicedirettrice del Centro difensori dei diritti umani (Drhc), in carcere già da oltre 10 anni, con 20 ancora da scontare. Questa volta è "propaganda contro il regime", per le sue denunce sulle molestie e le violenze sessuali subite dalle detenute nella carceri. L'attivista, tramite le sporadiche comunicazioni con l'esterno e in particolare con il marito e i due figli che vivono a Parigi, nei giorni scorsi ha chiesto che «il falso processo» si svolga pubblicamente, alla presenza di testimoni e media indipendenti, in modo che «testimoni e superstiti possano raccontare le aggressioni sessuali commesse dal regime della repubblica islamica contro le donne» nella carceri.
E questa volta Narges, 52 anni, è meno sola: decine di prigioniere politiche, tutte rinchiuse nel carcere di Evin, a Teheran, come lei, hanno sottoscritto la richiesta. Sul profilo Instagram ufficiale del Premio Nobel si legge che le detenute uscite allo scoperto per solidarietà sono 36. Donne coraggiose, perché la repressione è continua e pesante e ogni atto di ribellione viene punito severamente.
«Non può essere - si legge ancora su Instagram - che Narges Mohammadi si in tribunale per aver reso pubbliche le aggressioni sessuali, ma non i responsabili di questi crimini».
La questione delle molestie sessuali sta molto a cuore al Premio Nobel, di cui nelle scorse settimane è stato pubblicato in Italia "Più ci rinchiudono, più diventiamo forti" (Mondadori, pagine 208, euro 19), raccolta di interviste condotte dall’attivista tra le sue compagne di cella, prigioniere di coscienza nel reparto femminile di Evin, dove Narges si trova dal 2021, o in quello di Zanjan, da dove è stata rilasciata nel 2010 dopo aver scontato cinque anni e mezzo di detenzione.