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Sudafrica. Dall’apartheid alla xenofobia: il Sudafrica riscopre gli spettri

Paolo M. Alfieri sabato 7 settembre 2019

In quel Sudafrica che ha saputo sconfiggere l’apartheid, ma le cui città sono piegate da disuguaglianza, povertà e criminalità, torna prepotentemente ad affacciarsi lo spettro della xenofobia. A un quarto di secolo dalle prime elezioni libere e dalla fine della segregazione razziale dei neri, il diverso da mettere all’angolo oggi è lo straniero, l’africano proveniente da altri Paesi che vede, nella seconda economia continentale, un’opportunità di riscatto. Non è certo la prima volta, ma in questo caso la reazione internazionale è arrivata più puntuale e dolorosa, per un Sudafrica che sta provando ad attirare investimenti e riguadagnare credibilità. La Nigeria ha boicottato il World Economic Forum – tenutosi a Città del Capo – seguita da Ruanda, Malawi e Repubblica democratica del Congo. Sono infatti gli esercizi commerciali appartenenti a cittadini provenienti dall’Africa sub-sahariana gli obiettivi di saccheggi e vandalismi che si susseguono da settimane soprattutto a Pretoria e a Johannesburg, un’ondata di violenza che ha provocato 10 morti (2 gli stranieri) e oltre 300 arresti.

Negozi e rivendite sono stati distrutti e merce del valore di milioni di euro data alle fiamme. Solo ieri c’è stato un parziale ritorno alla calma e alcuni negozi hanno riaperto. In rappresaglia agli attacchi xenofobi, manifestanti sono scesi in piazza a Lagos, in Nigeria, per protestare contro le violenze ai «fratelli e le sorelle» in Sudafrica: i dimostranti hanno assaltato supermercati e uffici di aziende sudafricane. Il Sudafrica ha quindi chiuso le missioni diplomatiche a Lagos e Abuja. Martedì scorso a Johannesburg i disordini erano scoppiati dopo che per il terzo giorno consecutivo una folla di dimostranti era scesa in strada per protestare contro l’alto tasso di disoccupazione e la diffusa povertà, saccheggiando negozi e dando alle fiamme edifici e veicoli. La polizia era intervenuta sparando proiettili di gomma per disperdere la folla. Lo stesso scenario di violenza si è ripetuto a Pretoria. Nel mirino dei locali, i negozi di proprietà straniera, in particolare dei migranti, accusati di vendere droga e rubare posti di lavoro, un ritornello che si sente spesso durante le fiammate di violenza contro gli stranieri.

Gli assalti contro i negozi e le imprese di proprietà straniera ha una lunga storia nel Sudafrica post-apartheid, dove molti locali danno la colpa agli immigrati, provenienti soprattutto da Nigeria, Mozambico e Zimbabwe, per l’alto tasso di disoccupazione che ha raggiunto il livello record del 29%. Almeno 60 persone restarono uccise nel 2008 nel corso di attacchi contro gli stranieri, altre 7 le vittime nel 2015. Dopo gli assalti di questa settimana, la Nigeria, che al Sudafrica contende il ruolo di leader economico continentale, ha convocato l’ambasciatore sudafricano per esprimere «lo scontento per il trattamento dei suoi cittadini».

Secondo Shenilla Mohamed, direttrice generale di Amnesty International Sudafrica, in questi anni il governo di Pretoria ha proseguito a incolpare spesso gli stranieri per gli elevati livelli di criminalità e l’inadeguatezza dei servizi pubblici, accusandoli inoltre di gestire esercizi commerciali illegali. Gli stranieri, ha sottolineato, «sono i capri espiatori di politici privi di scrupoli che promuovono la narrativa dello straniero venuto a rubare il lavoro e che è responsabile di tutto ciò che di negativo accade nel Paese». Le violenze hanno «costretto» il presidente Cyril Ramaphosa a intervenire. Attaccare gli esercizi commerciali gestiti da stranieri, ha sottolineato in diretta tv, «è qualcosa di assolutamente inaccettabile, qualcosa che non possiamo permettere che accada in Sudafrica».