Non si prenderà un giorno di pausa, Barack Obama. L'agenda del presidente eletto è fitta. Ancora prima di partire per le Hawaii per prendere parte al funerale della nonna, morta lunedì, il democratico ha nominato il suo capo di gabinetto, il deputato di Chicago Rahm Emanuel. Emanuel è un ex consigliere di Bill Clinton, ed è noto per i suoi metodi diretti e poco delicati: sarebbe lo stratega «cattivo» alla Casa Bianca in grado di far giocare ad Obama la parte del buono di fronte al Congresso. Ma il neo eletto sembra voler mantenere la promessa di allungare la mano dall'altra parte del corridoio che divide al Campidoglio democratici dai repubblicani. Fra i nomi che aleggiano come membri della sua squadra ci sono infatti almeno due conservatori. Politicamente parlando in realtà non ne ha bisogno, perché, al contrario del suo predecessore, Obama arriva alla Casa Bianca forte di un enorme consenso popolare, dimostrato non solo dalla percentuale che ha vinto, ma anche dal record storico di votanti. Due terzi dell'elettorato si è infatti recato alle urne martedì alcuni aspettando in fila fino a 7 ore. È un record mai visto dal 1908. Un mare di voti alimentato soprattutto dai giovani, che hanno smentito così la loro tradizionale scarsa affluenza, e ancora di più degli afro-americani. Più del 90 per cento dei neri, infatti, ha espresso la sua preferenza. Alla fine il primo presidente nero della storia americana è stato incoronato con almeno 349 Grandi elettori (assegnati in base alla popolazione degli Stati conquistati) su 539 (per vincere, ne servivano 270) e s'è aggiudicato nettamente il voto popolare con il 52,46 per cento e un vantaggio di oltre sette milioni di suffragi. Jimmy Carter era stato l'ultimo presidente democratico ad aver toccato la maggioranza assoluta dei voti, e solo con il 50,1 per cento. Obama si è imposto in tutti gli Stati contesi, strappando al rivale repubblicano John McCain l'Ohio e la Florida, la Virginia e l'Indiana, dove i democratici erano stati sconfitti nelle ultime due elezioni presidenziali. Non c'è tempo però per analizzare il voto. Il team Obama guarda avanti. Guidata dall'ex capo dello staff di Bill Clinton, l'italo-americano di Chicago John Podesta, la squadra del presidente eletto ha avviato la transizione per una nuova amministrazione già da settimane, e ieri ha scoperto le sue prime carte. Fra le priorità immediate di Obama c'è la nomina del nuovo ministro del Tesoro, e qui i nomi in "pole position" sono quelli di clintoniani come l'ex ministro del Tesoro ed ex presidente di Harvard Lawrence Summers, oltre all'ex capo della Federal Reserve Paul Volcker. Per il dipartimento alla giustizia si fa il nome di Hillary Clinton, anche se ancora più accreditati sono quello di Andrew Cuomo, figlio dell'ex governatore italo-americano dello stato di New York Mario Cuomo, che ha dato negli ultimi mesi battaglia ai superbonus degli amministratori delegati di Wall Street. La poltrona del Pentagono potrebbe per il momento rimanere a Robert Gates, mentre al posto di Consigliere della Sicurezza Nazionale Obama potrebbe nominare un'altra Rice: Susan Rice, 44 anni, afro-americana come Condoleezza e anche lei con radici all'università di Stanford, che ha servito come esperta di politica estera nella campagna dopo essere stata assistente segretario di Stato per l'Africa sotto Clinton. Un'altra donna, la deputata Jane Harman, potrebbe diventare zarina dell'intelligence. Per il dipartimento di Stato si parla anche dell'architetto degli accordi di Dayton sulla ex Jugoslavia e ex ambasciatore all'Onu Richard Holbrooke, che si schierò con Hillary durante le primarie. Oltre a Gates spunta un altro repubblicano nel toto ministri: un politico fortemente bipartisan come il governatore «verde» della California Arnold Schwarzenegger, che secondo la rivista The New Republic potrebbe andare all'Ambiente. Ma potrebbe ricomparire anche il repubblicano Colin Powell. Secondo Time Obama avrebbe pensato al primo segretario di Stato di colore per il posto di ministro dell'Istruzione.