Reportage. Da ballerine e insegnanti a sminatrici. «Combattiamo le ferite dell'Ucraina»
Due sminatrici con il loro supervisore a caccia di ordigni di guerra nel villaggio di Makovyshche a 50 chilometri da Kiev con la ong Halo
Una corda rossa fra le zolle indica la via sicura. «Adesso potete procedere», avverte il caposquadra che l’ha appena stesa per terra. Sa che lungo quel segmento di una decina di metri non si corre il pericolo di saltare in aria. Il suo via libera è indirizzato a un paio di scafandri azzurri che si muovono in un appezzamento ormai brullo, perso fra una manciata di case a cinquanta chilometri da Kiev. La muta dentro cui c’è un giubbotto antiproiettile e la pesante visiera che potrebbe essere scambiata per quella di un apicoltore nascondono l’identità di chi le indossa: due signore di mezza età. A unire il loro destino un telaio-metal detector che insieme fanno scorrere sopra il terreno e poi il piccolo altoparlante che da un momento all’altro può raccontare uno dei più orribili lasciti della guerra: le mine. Se comincia a ronzare, quella è una terra di morte. «La paura? All’inizio c’era. Ma ormai mi sono abituata», confida Yulia Nema, dopo aver perlustrato l’ennesima porzione di suolo e permesso al suo supervisore di classificarla come “priva di esplosivi”. È una profuga. E adesso una sminatrice. Per vocazione e necessità. Costretta a lasciare la sua terra da cui passa il fronte e senza più un lavoro, si è ritrovata a essere una cacciatrice di ordigni nel Paese che l’invasione russa ha reso il più contaminato al mondo.
«Abbiamo anche ballerine o avvocati impegnati in quella che va considerata una missione umanitaria», spiega Olena Shustova, portavoce di Halo Trust. È una delle maggiori organizzazioni nongovernative globali nella lotta alle mine, presente in trenta Stati. In Ucraina coordina oltre seicento sminatori, di cui un terzo donne. Dieci giorni di lavoro; quattro di riposo; e soprattutto lo stipendio certo in una nazione travolta anche dalla crisi economica. «Avevo un negozio di informatica. Sono arrivati gli attacchi e non l’ho più riaperto», racconta Yulia. Viveva a Kostiantynivka, città che rimane nella parte libera della regione di Donetsk, per lo più controllata dai russi, dove a settembre un missile ha fatto 17 morti al mercato. Lei è fuggita un mese dopo l’inizio del conflitto, nell’aprile 2022. E si è rifugiata alle porte della capitale. «Ecco perché ora mi sembra giusto contribuire a ripulire il villaggio che mi ha accolto». Il villaggio di Makovyshche che fra marzo e aprile 2022 è stato conquistato dalle truppe di Mosca e poi al centro di una delle battaglie per impossessarsi di Kiev. Operazione fallita. Ma prima che i militari russi abbandonassero la zona, l’hanno infestata di mine. Seminate nei campi al posto del grano per renderli inservibili. Come nel podere setacciato dalla ex commerciante del Donbass.
La sminatrice Yulia Nema, rimasta senza casa e lavoro dopo essere stata costretta a lasciare il Donbass - Gambassi
«Qui tre tecnici sono rimasti feriti. Andavano a riparare una linea elettrica che attraversa il terreno», dice il responsabile delle attività Halo a Makovyshche, Dmytro Khomenko, 40 anni, indicando i quattro paletti gialli che segnano i punti in cui erano le mine. In tutto ne sono state trovate undici, alcune accanto alla strada principale. Anche lui viene da Donetsk. «Ero un docente di fisica», sospira. Poi, come Yulia, l’addio alla sua regione, il bisogno di costruirsi un futuro, l’arruolamento nei “battaglioni anti-ordigni”. «Già nel 2014, quando abbiamo avuto i primi scontri con i filorussi in Donbass, era emerso il flagello delle mine», ricorda.
L'ex docente di fisica Dmytro Khomenko, originario del Donbass, che è il responsabile dello sminamento Halo nel villaggiodi Makovyshche - Gambassi
Con l’aggressione di tutto il Paese, il problema è deflagrato. Ogni giorno si contano morti e feriti. Gli ospedali segnalano centinaia di mutilazioni agli arti. Un terzo dell’Ucraina è a rischio. A cominciare dalle aree che sono state occupate e poi liberate oppure da quelle intorno alla linea dei combattimenti. Com’è accaduto a Makovyshche. «Le mine sono lasciate in caso di ritirata, in spregio alla popolazione, oppure sparse per impedire l’avanzata di mezzi e unità militari», fa sapere Dmytro. Anche la centrale nucleare di Zaporizhzhia è stata circondata. Si va dalle trappole anti-uomo a quelle anti-carro.
Lo sminamento di un campo infestato di ordigni nel villaggio di Makovyshche - Gambassi
Le stesse che si cercano da oltre un anno nell’abitato dell’hinterland di Kiev. «Il terreno agricolo da bonificare è di 190mila metri quadrati. In diciassette mesi ne abbiamo controllato la metà», afferma il capo della task-force. Figurarsi scandagliare 174mila chilometri quadrati nell’intera Ucraina. Qualcuno ha ipotizzato che ci vorranno più di duecento anni per rendere sicuro ogni angolo del Paese. «Sappiamo che quanto facciamo è una goccia nell’oceano. Ma da qualche parte serve partire», sostiene lo statunitense Piers Brecher, responsabile dell’addestramento Halo. Venticinque giorni di corso. Un esame teorico e pratico. Quindi l’esordio. «Ma i protocolli di sicurezza sono ferrei», assicura Dmytro.
Due sminatrici con il loro supervisore a caccia di ordigni di guerra nel villaggio di Makovyshche a 50 chilometri da Kiev con la ong Halo - Gambassi
Ogni squadra è composta di nove persone di cui un capo e due sminatori che sono anche paramedici. «In caso di incidente», precisa. Si smina a mano, con i metal detector, metro dopo metro, scavando piccole buche per sondare in profondità. Oppure si ricorre a “Robocut”, il trattore scova-ordigni che però può essere distrutto se si imbatte in una mina anti-carro. «Un rischio da mettere in conto, ma la bonifica è più rapida», aggiunge Piers. E di recente il contrasto al nemico interrato passa dai droni che la Ong utilizza nella regione di Kharkiv. I turni non badano troppo al meteo. Così la “divisa” antibombe diventa una camera di vapore d’estate e una ghiacciaia d’inverno. A finanziare la maratona della salvezza di Halo, con 84 team al lavoro in sei oblast, i governi dell’Occidente: in testa Gran Bretagna, Germania e Usa. «Però non quello italiano», ammette Olena.
“Robocut”, il trattore scova-ordigni usato dalla ong Halo nei villaggi intorno a Kiev - Gambassi
Sono senza età le mine russe, di decine di tipologie diverse. «Una parte risale al periodo sovietico; altre sembrano recentissime», osserva Dmytro. «Comunque – prosegue Piers – non siamo noi a stabilire come agire quando le scopriamo. Tocca al Servizio nazionale decidere se farle detonare sul posto o rimuoverle». In alcune cittadine vicino a Kharkiv ogni settimana scatta l’”ora dei botti”, come viene chiamata con macabro sarcasmo l’esplosione programmata degli ordigni scovati, tanti sono quelli disseminati.
Uno sminatore della ong Halo a lavoro nel villaggio di Makovyshche - Gambassi
«C’è chi combatte al fronte. Noi combattiamo le mine di Mosca. Anche io mi sento a servizio del Paese», sorride Yulia, quasi a voler esorcizzare la minaccia di un agguato dal sottosuolo. E, mentre riprende a esplorare un altro piccolo tratto del campo infame, il pensiero va al figlio di undici anni: «È orgoglioso di ciò che faccio».