Sono in 600 e vengono dall’Iraq, dalla Somalia, dal Sudan, dall’Afghanistan, dall’Iran, dalla Siria e dal Pakistan. Sono fuggiti dalle guerre e dalle persecuzioni e negli Stati Uniti hanno trovato accoglienza. Non solo. Hanno trovato Hamdi Ulukaya. L’imprenditore curdo, lui stesso emigrato dalla Turchia – perché «i villaggi attorno al mio erano stati bombardati da Ankara » – li ha assunti in uno dei due impianti dove fabbrica yogurt greco e dove, dal nulla, in dieci anni ha costruito un impero stimato fra i 3 e i 5 miliardi di dollari. E ora ha deciso di regalare loro una parte dell’impresa che hanno contribuito a costruire. Ciascun dipendente della Chobani, i 600 profughi come i 1.400 colleghi americani, sta ricevendo questa settimana un pacchetto di azioni dell’azienda. Il valore varia in base all’anzianità di servizio, ma parte attorno ai 150mila dollari per arrivare vicino al milione di dollari per i primissimi assunti. «Ho costruito qualcosa che non avrei mai pensato che sarebbe stato un tale successo, ma non posso a pensare alla Chobani senza tutte queste persone», ha detto Ulukaya ai media Usa. Non è la prima volta che il 43enne figlio di pastori fa parlare del suo desiderio di condividere la sua buona sorte. All’inizio dell’anno ha annunciato che avrebbe donato metà della sua fortuna personale, stimata in circa 1,4 miliardi di dollari, alla fondazione Tent, da lui creata per aiutare i rifugiati in fuga dal Medio Oriente. Nei mesi precedenti si era recato a Lesbo e in Germania, incontrando rifugiati e imprenditori alla ricerca di approcci innovativi per alleviare la crisi dei migranti. Ma già da anni nelle due fabbriche della Chobani, in Idaho e nel nord di New York, aveva dato priorità all’assunzione di profughi, ai quali offre corsi di lingua inglese e interpreti in 11 lingue. Anche se lui stesso non ha dovuto attraversare il mare su un barcone affollato o vivere per mesi in una tendopoli prima di arrivare negli States, il destino dei musulmani che lasciano le loro terre diretti in Europa lo tocca personalmente. «Sono scappato anch’io – spiega – e una volta negli Usa non avrei mai voluto tornare in Turchia. Capisco che cosa vuol dire essere esuli. Ho lavorato duramente e ho trovato aiuto, soprattutto un prestito che mi ha permesso avviare l’impresa. Tutti hanno diritto alle opportunità che ho avuto io». La Chobani paga i suoi dipendenti al di sopra del salario minimo e offre loro contributi (che non sono obbligatori negli Usa). Ulukaya ha anche stabilito in azienda un programma di incentivo al risparmio per i dipendenti e li ha spinti a partecipare. «Ho predicato e tormentato e ho cercato di costringerli a farlo – dice –. Purtroppo, non tutti l’hanno fatto, e continuo a preoccuparmi per loro e per la loro vecchiaia».