Un vero autogol per l’opposizione. È il meno che si possa dire sulla decisione dei ribelli di scendere dalle montagne del Qalamun (la catena dell’Antilibano), dove sono arroccati da mesi, per «liberare» Maalula, la città simbolo per eccellenza della cristianità siriana. Una situazione che ha portato nuovamente alla luce del sole la frattura sempre più evidente tra le diverse anime dell’opposizione al regime di Assad, e il peso crescente che ha assunto la componente jihadista. L’attacco di mercoledì scorso, secondo i media, era frutto di un’operazione collettiva tra il Movimento islamico uomini liberi del Levante , le Brigate Falchi del Levante, il Fronte di liberazione del Qalamun, i commandos di Baba Amr (Homs) e la filiale di Jabhat al-Nusra nella zona. A quel punto è esplosa la lotta interna tra le fazioni. Poco tempo dopo, il Fronte al-Nusra, legato ai terroristi di al-Qaeda, ha espresso in un comunicato il proprio disappunto per le «numerose rivendicazioni di paternità». Al-Nusra ricorda che sono stati i suoi uomini a lanciare «questa benedetta azione» facendo strage tra i soldati lealisti appostati all’ingresso della cittadina, e ciò grazie a un kamikaze giordano-palestinese di 20 anni, Ammar al-Jimzawi. Il comunicato sottolinea poi il ruolo «secondario» svolto dai singoli altri gruppo: in pratica, poco più di una copertura e un’assistenza topografica. Tutto il resto, secondo al-Nusra, è mera propaganda e reportage “post liberazione”. Dell’Esercito libero siriano (Els) nemmeno una parola. Eppure questi era presente attraverso i ribelli di Homs e del Qalamun. «Custodiamo Maalula nel nostro cuore», recita un cartello postato dall’ufficio propaganda dell’Els sui social network per contenere lo scandalo. Uno slogan che ben difficilmente potrà cancellare dalla memoria la famosa dichiarazione sulla «conquista della capitale dei crociati», pronunciata da un capo jihadista. Un video mostra i ribelli di Homs posizionati davanti a una chiesa dedicata a San Giorgio. «Giovanotti, datemi tutti ascolto! – afferma il capo – Non abbiamo l’intenzione di colpire né chiese né civili, ma solo chi ci spara addosso. Loro (i cristiani, ndr) sono gente nostra, parte della patria. Questi luoghi sacri non si toccano. Non siamo venuti qui per questo. Siamo venuti per colpa di chi ha commesso ingiustizie nei confronti di tutto il popolo siriano, di tutte le comunità religiose». In un altro video, girato lunedì, alcuni uomini dell’Els si aggirano nel convento di Santa Tecla per dire che gli unici danni subiti sono il risultato del fuoco nemico. Nel video si scorgono diverse monache ortodosse, apparentemente tranquille. Ma Maalula, che in questo periodo dell’anno pullulava di pellegrini per festeggiare l’Esaltazione della Croce, è una città fantasma. Suo malgrado, è diventata ostaggio delle contrapposte strategie. Non si esclude che l’offensiva contro Maalula possa innescare una resa dei conti tra jihadisti ed Els nel Qalamun, identica a quelle in corso a nord di Aleppo e in alcune periferie di Damasco. Maalula rimane, tuttavia, l’epicentro di uno scontro più ampio già in corso nella zona. In questi giorni, infatti, si è combattuto anche a Jabdin e a Rankus, principale cittadina della regione. Più a est, a ridosso del confine con il Libano, si registrano scontri nelle località di Zabadani e Bludan, una volta meta di villeggiatura. Non solo. A Damasco, tra i rifugiati di Maalula, si mormora che l’esercito regolare si stia preparando a una “operazione lampo” per riprendere il controllo della località e che lo farà con l’aiuto di 600 volontari originari di Maalula e di Ain al-Tineh (poco più a sud), ma anche di Bab Tuma, il quartiere cristiano della capitale.