La Corte penale internazionale dell'Aia ha emesso un mandato d'arresto per Muammar Gheddafi, per il figlio Seif al-Islam e per il capo dell'intelligence di Tripoli, Abdullah al-Sanoussi. Le accuse sono quelle di crimini contro l'umanità per le repressioni condotte nei primi giorni di protesta contro il regime. In particolare, i giudici dell'Aia hanno annunciato che Gheddafi è ora ricercato per aver programmato l'uccisione, il ferimento, l'arresto e la detenzione di centinaia di civili durante i primi 12 giorni di sommosse volte a destituirlo, e per aver cercato di coprire i presunti crimini."Ci sono prove ragionevoli che Gheddafi e il figlio siano penalmente responsabili come co-perpetratori indiretti" di omicidi e persecuzioni contro i civili, ha spiegato il giudice che ha presieduto l'udienza, Sanji Monageng del Botswana. Secondo la Monageng, dopo le sollevazioni popolari in Tunisia ed Egitto, Gheddafi e il suo circolo hanno complottato una "politica di Stato... volta a dissuadere e a combattere con ogni mezzo, incluso l'uso letale della forza, le dimostrazioni dei civili contro il regime". La Monageng ha definito Gheddafi il "leader indiscusso della Libia" che aveva "il controllo assoluto, ultimo e incontestato" sulle forze militari e di sicurezza del Paese. Secondo il giudice è impossibile fornire un numero preciso delle vittime del regime, ma le forze di sicurezza di Gheddafi hanno presumibilmente "ucciso, ferito, arrestato e detenuto centinaia di civili". I procuratori si augurano dunque che i tre vengano arrestati velocemente "per impedire loro di coprire crimini in corso e di commetterne di nuovi". Secondo un comunicato dell'ufficio del procuratore capo Luis Moreno-Ocampo, il triplice mandato d'arresto "è l'unico modo per proteggere i civili libici".Prima della lettura della sentenza, il governo di Tripoli aveva chiaramente respinto l'autorità della Corte. "La Corte penale internazionale - ha detto il portavoce del governo Moussa Ibrahim - non ha alcuna legittimità, ce ne occuperemo. Tutte le sue attività sono dirette contro i leader africani". Ibrahim ha spiegato che il tribunale speciale ha colpito ingiustamente la leadership africana ignorando i crimini commessi dalla Nato prima in Afghanistan e Iraq "e adesso in Libia".
PLAUSO DELLA FARNESINAPositiva la reazione dei governi europei al provvedimento della Corte. "La decisione pronunciata oggi dalla Corte dell'Aia - specifica una nota della farnesina - conferma le gravi responsabilità di Gheddafi, del figlio Saif e del genero Al Senoussi per gli omicidi e le persecuzioni commessi dalle forze armate libiche contro gli oppositori al regime a partire dal 15 febbraio, in particolare a Tripoli, Bengasi e Misurata: azioni che ricadono nella categoria dei crimini contro l'umanità". E all'Italia fa eco la Francia. "Dopo 41 anni di dittatura - ha dichiarato il presidente Nicolas Sarkozy durante una conferenza stampa - è arrivato il momento per Gheddafi di smetterla e di lasciare il potere". Il colonnello, ha concluso Sarkozy, "sa benissimo cosa deve fare perché la pace ritorni nel Paese: dipende solo da lui".
MARTINELLI, VESCOVO DI TRIPOLI: DECISIONE INOPPORTUNA"Non è opportuno mettere altra benzina sul fuoco con la richiesta di portare Gheddafi come imputato alla Corte dell'Aja. Il colonnello non ci andrà, penso che rimarrà in Libia". Lo dice monsignor Martinelli, vescovo di Tripoli. "Mi auguro che i negoziati possano avviarsi presto - spiega il prelato - ormai siamo arrivati a 100 giorni di bombe: siamo stanchi. Il rais ha accettato di non partecipare ai negoziati, purché si vada avanti nei colloqui tra Unione africana e Bengasi. La sua volontà di dialogo è già una cosa positiva, il resto lo lascerei da parte"."Se non terminano i bombardamenti, che in questi ultimi tempi hanno fatto tante vittime - rimarca il vicario apostolico di Tripoli - è inutile insistere ad accusare Gheddafi. Stanotte a Tripoli non ci sono state bombe ma in altre zone della Libia le violenze
continuano e la situazione non è chiara. C'è comunque un desiderio da parte della Nato di frenare i bombardamenti, per ragioni economiche. Le bombe - conclude mons. Martinelli - non risolvono mai i problemi".