«Covid 2.0»: ecco l'arma senza confini di narcotrafficanti, mafiosi e terroristi
Da marzo, i messaggi di propaganda jihadista sul Web sono ulteriormente aumentati
Non ha colpito solo più di 84 milioni di donne e uomini in tutto il pianeta. Il Covid ha infettato anche il Web. Per i gruppi terroristici e criminali la pandemia è stata una straordinaria opportunità di espansione digitale. Il trasloco su Internet ha riguardato tutti e tutto: relazioni sociali, lavoro, scambi, perfino occasioni di svago, si sono trasferiti sulla Rete. Solo nel mese di marzo, gli accessi degli utenti nel mondo sono cresciuti del 45 per cento. I movimenti radicali di vario orientamento e le organizzazioni mafiose, tuttavia, sono stati abili nel trasformare a proprio vantaggio le reti sociali: armi aggiuntive e potenti che hanno arricchito il loro arsenale illegale. L’utilizzo dei social da parte di questi ultimi non è nuovo. I “leoni da tastiera” del Daesh non sono stati meno importanti dei combattenti con il Kalashnikov nella costruzione del Califfato. Al- Shabaab e Ansardine hanno da tempo un account Twitter come pure il cartello messicano di Sinaloa e il suo ormai ex boss Joaquín El Chapo Guzmán. Addirittura alcuni hanno dei veri e propri centri media e agenzie di contro-informazione.
Mai prima d’ora, però, il fenomeno era diventato tanto capillare. A sostenerlo un recente studio dell’Istituto di ricerca interregionale sul crimine e la giustizia dell’Onu (Unicri) che per dieci mesi ha monitorato, in particolare, Facebook, Twitter, Telegram, YouTube, Vk, Gab e BitCuthe. I protagonisti di questo Covid 2.0 sono suddivisi in tre macro-categorie: la composita galassia dell’ultradestra suprematista, le formazioni islamiste e le mafie di vario tipo e provenienza. Queste ultime, a differenza delle prime due, non sono spinte da ragioni ideologiche bensì dal business, che il Covid ha fatto crescere. Le difficoltà economiche, provocate del confinamento, hanno consentito alle multinazionali del crimine di rilevare a basso costo attività lecite. Narcos, ’ndrangheta e Cosa Nostra hanno, però, imparato che una certa narrativa influenza gli affari. Non c’è mafia senza controllo territoriale. Internet è uno straordinario palcoscenico su cui fare sfoggio del proprio potere di “anti-stato dentro lo stato”. Specie in tempi di emergenza sanitaria. Oltre a sostituire il governo nella fornitura di cibo, mascherine, medicine e gel disinfettante ai più poveri, così, i cartelli messicani di Sinaloa e Jalisco Nueva Generación hanno inondato i social con i video e le foto delle varie distribuzioni. Lo stesso ha fatto al quartiere Zen di Palermo Giuseppe Cusimano, fratello di Nicolò, noto boss della droga.
I narcos hanno distribuito pacchi alimentari alla popolazione in Messico - Ansa
Non meno attivi nell’auto-promozione sono i gruppi islamisti. Al-Shabaab ha addirittura realizzato un centro clinico per i malati di Covid in Somalia e ha accompagnato l’apertura con un’intensa campagna sulla propria radio – al-Andaluz – e sui social. In questo caso, il fine è creare una falsa immagine di difensori degli emarginati per aumentare il bacino di reclutamento Per la stessa ragione – oltre che per innalzare la temperatura politica minando la credibilità del governo –, i movimenti terroristici hanno speso tempo e energie nella diffusione di teorie complottiste riguardo al Covid. Le strategie per farlo sono sempre le stesse: produzione di meme – slogan facili e ad effetto abbinati a video o foto – , animazione di forum per individuare i partecipanti più suggestionabili, parole cifrate per arginare la censura e chatbots ovvero algoritmi in grado di creare post e interazioni. Secondo la Carnegie Mellon University, tra gennaio e maggio, i chatbots hanno inondato Twitter di cento diverse narrative sulla pandemia. Tutte false.
Il contenuto dei messaggi, ovviamente, dipende dall’organizzazione. Secondo i suprematisti francesi di Blanche Europe quelli statunitensi della New Jersey European Heritage Association o i neofascisti della centrale Eco-fascista, Corona Chan News e i CoronaWaffen, sono stati minoranze e immigrati a diffondere il contagio. Per il Daesh, al-Qaeda e Shabaab si tratta, invece, di una «punizione di Allah». Spesso, inoltre, la disinformazione viene impiegata per spingere gli adepti a compiere azioni dimostrative. Da quelle più bizzarre – come «tossire nei luoghi frequentati dagli stranieri», suggerito da CoronaWaffen – a veri attentati. Il Global fatwa index ha registrato vari messaggi del Daesh e al-Qaeda in cui i miliziani malati erano esortati a diventare armi biologiche. In questa gamma rientra il fallito intento del suprematista Timothy Wilson di far piazzare una bomba, il 24 marzo, di fronte a un centro per il coronavirus a Kansas City. Da parte del problema, però, la tecnologia può giocare un ruolo cruciale nella soluzione, aiutando a creare sistemi di monitoraggio più efficaci. «Il giudizio finale, tuttavia – concludono le Nazioni Unite – va lasciato all’essere umano, l’unico davvero in grado di discernere tra realtà e bolle, per quanto accattivanti, virtuali.