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Il bilancio. Conclusa "Humanity". Cattai: «Così Focsiv vuole fare di più»

Luca Geronico domenica 28 aprile 2019

Una operatrice Focsiv nel campo profughi di Qustapa, nel Kurdistan iracheno (Cristian Gennari)

Si chiude la campagna «Humanity» di Focsiv-Avvenire, ormai una consuetudine dal 2015, quando si lanciò per la prima volta l’iniziativa «Emergenza Kurdistan ». Tocca a Gianfranco Cattai, presidente della Focsiv – Federazione degli organismi cristiani servizio internazionale volontario – tracciare un bilancio che, ancor più che economico, è di tipo mediatico e culturale. Quest’anno, infatti, durante la campagna «Humanity », si è illustrata la situazione di Aleppo, di Iskenderun e dell’Anatolia, di Qaraqosh e di Raqqa come “luoghi di resilienza”.

Gianfranco Cattai, come si può far rinascere la società civile in queste città e in queste regioni ferite del Medio Oriente?

La campagna di quest’anno e la nostra azione, si sono concentrate sulla capacità di resilienza di donne e bambini. Donne, che spesso significa mamme, e bambini che hanno visto cose impossibili, eppure devono continuare ad essere bambini ed avere speranza e gioia di vita. Allora, con bambini e mamme, ci proponiamo una ricostruzione non solo materiale ma anche umana, un riuscire a credere di nuovo in se stessi. L’attimo presente va vissuto non solo in una prospettiva di ricostruzione, ma anche nella convinzione, per chi ha fede, che ci sono tanti altri nel mondo che possono pregare, pensare e anche donare per te.

Veniamo ai dati economici. Da fine ottobre ad aprile sono stati raccolti quasi 68mila euro grazie a 428 donazioni, con una media di 150 euro a donazione. Chi sono i donatori della campagna «Humanity »?

I donatori possono essere i tanti lettori di Avvenire, e questo ci fa particolarmente piacere perché attraverso il gior- nale sono informati e quindi orientati a decidere di fare un gesto di solidarietà con continuità. Altri sono persone che sono intercettate dal raggruppamento Humanity degli organismi della federazione: questo avviene in gran parte attraverso le relazioni dirette. Infine sono persone che occasionalmente, magari perché hanno intercettato delle notizie, decidono di donare.

Come sta evolvendo il coordinamento fra le sette Ong della Focsiv coinvolte nella campagna Humanity che operano in diversi Paesi del Medio Oriente?

L’ultima riunione fatta per valutare il presente e tracciare le linee del futuro ha confermato la determinazione a volersi impegnare di più in quest’area, ma anche di voler coinvolgere altri organismi della Focsiv: il sistema sente che si può fare di più unendo gli sforzi. L’area di intervento è, indubbiamente, vasta e bisognosa di molta più presenza. Quindi stiamo procedendo con questo duplice passo: maggiore impegno di chi è già presente e dare l’opportunità ad altri della Focsiv di entrare. Non solo, discutevamo di recente con i responsabili Focsiv nel Kurdistan iracheno di come mettersi in relazione con altre presenze sul territorio che ce lo chiedono.

Stanno iniziando i preparativi per l’incontro di spiritualità e riflessione «Mediterraneo, frontiera di pace», promosso dal presidente Cei, cardinale Bassetti, che riunirà cardinali, patriarchi e vescovi delle Chiese che si affacciano su quel mare. L’attenzione sul Mediterraneo potrebbe rilanciare pure la cooperazione internazionale in quell’area?

Il bacino mediterraneo per la sua natura è un bacino di comunità e un laboratorio economico fra i più interessanti al mondo. E non possiamo dimenticare l’accordo di Barcellona per la libera circolazione dei mezzi e delle persone nell’area e nel bacino del Mediterraneo, firmata da tutti gli Stati che vi si affacciano ma subito disatteso. Ora speriamo che, a partire dalla nuova e stravolgente carta di Abu Dhabi – una proposta veramente fortissima – ci siano delle indicazioni per mettere insieme la «potenza» delle religioni. Penso che quello proposto dal cardinale Bassetti a Bari sarà un appuntamento storico che va preparato, e a cui poi dare gambe. Noi come Focsiv, con gli organismi attivi nella sponda Sud del Mediterraneo, abbiamo già discusso di come poter potenziare queste nostre presenze.

Per concludere Gianfranco Cattai, dopo 5 anni, quale prospettiva per la campagna Humanity?

Le attese di collaborazione, mi riferiscono in particolare del vescovo Paolo Bizzeti in Anatolia, non possono non interrogarci pure sulla possibilità di una presenza anche fisica di persone, di famiglie cattoliche che dialogano con le comunità locali, a fronte di una assenza completa di sacerdoti e religiosi. Una presenza, non solo legata a progetti da realizzare e finanziamenti, può essere importantissima per dare fiducia a chi si sente cristiano e vuole portare avanti questa dimensione di fede. Inoltre va denunciato che per la ricostruzione dell’area di Qaraqosh e Mosul, sono stati promessi non pochi investimenti, bloccati o disattesi. La ricostruzione nella Piana di Ninive non può che richiedere un approccio da piano Marshall, a cui noi non siamo l’alternativa. Ma la vicinanza, il far fatica assieme alle persone sul posto per creare il loro futuro, questo noi lo possiamo essere. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL BILANCIO Si è conclusa «Humanity», la campagna della Federazione del volontariato internazionale con “Avvenire”: «Continuità nella solidarietà grazie ai tanti lettori e ai contatti dei nostri organismi»