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Stati Uniti. Parte la corsa alla Casa Bianca: 10 mesi vissuti pericolosamente

Elena Molinari, New York domenica 14 gennaio 2024

Partono dall'Iowa sferzato dalla neve e dal gelo le primarie del partito repubblicano

La maratona per la Casa Bianca scatterà con uno sprint domani in Iowa, dagli anni ’70 il punto di partenza delle primarie Usa, e potrebbe concludersi fra dieci mesi con un replay dello stesso duello di quattro anni fa: Donald Trump contro Joe Biden. Se infatti in casa democratica il prescelto del partito è già – ufficiosamente – il presidente uscente, fra i repubblicani il tycoon entra in gara con un vantaggio difficile da scalfire. Gli ultimi sondaggi gli assegnano fra il 52 e il 54% delle preferenze dei conservatori, mentre il suo sfidante più prossimo, al momento l’ex ambasciatrice Onu Nikki Haley, è attorno al 20. Ron De Santis è sceso al 13%.

Il presidente Joe Biden - Ansa

Prima di entrare nelle dinamiche della campagna, va detto che solo i repubblicani votano domani nelle gelide campagne dell’Iowa (dove le temperature si prevedono a -30) e Trump è avanti nei sondaggi per i caucus rispetto a Haley, terzo De Santis. Poiché Biden si era opposto a far partire la gara nello Stato dove è sempre stato sfortunato, i caucus democratici si terranno solo per condurre affari amministrativi e i liberal dell’Iowa esprimeranno le loro preferenze per posta, con spoglio a marzo. Per i repubblicani, invece, i premi in palio sono due: i delegati (i rappresentanti del partito che si impegnano a votare per il candidato vincente durante la convention repubblicana di luglio) e lo slancio. Anche se in Iowa è in ballo solo l’1,6% dei delegati, infatti, storicamente i risultati dei caucus danno una spinta enorme a chi vi si piazza bene. Barack Obama fu proclamato vincitore dei caucus a Des Moines nel 2008 e da quel momento fu catapultato in avanti rispetto a Hillary Clinton. E nel 2000 in Iowa George W. Bush mostrò la sua forza contro John McCain. Biden ha infranto il precedente, perdendo sia l’Iowa che il New Hampshire, la seconda tappa delle primarie — ed è per questo che questa volta non ha preso rischi. Tuttavia, è quasi impossibile non finire fra i primi tre e diventare il candidato prescelto dal proprio partito a novembre.

Donald Trump in Iowa - Ansa

La battaglia nella compagine dell’elefantino nell’ultimo mese dunque è stata spietata. Recentemente Trump ha spostato i suoi insulti dal governatore della Florida De Santis a Haley (mettendo anche in dubbio il suo diritto di diventare presidente perché i genitori sono indiani), ufficializzando così la rimonta dell’ex governatrice del South Carolina. A gennaio Trump ha speso più di 5 milioni di dollari in spot che colpiscono la sua ex diplomatica, dichiarandola debole sull’immigrazione, il tema chiave di questa tornata elettorale. «Non è carino che spenda così tanto per me?» ha ironizzato la candidata, che alcuni sondaggi vedono temibile anche per Biden. Le ultime rilevazioni fotografano invece una situazione di parità (48% a 48%) fra Trump e il capo della Casa Bianca nel caso di una corsa finale tra loro due. Haley potrebbe anche raccogliere il circa 12% di preferenze lasciate dall'ex governatore del New Jersey Chris Christie, che ha abbandonato la corsa, avvicinandosi così all’ex presidente. I repubblicani dell’Iowa, dopotutto, sono tra i pochi elettori del Grand old party ad aver respinto Trump nel 2016. Molti commentatori considerano però la rapida ascesa di Haley effimera come la cometa di cui porta il nome (con una L di meno).

Parte dall'Iowa la lunga corsa per decidere il prossimo inquilino della Casa Bianca - Foto di archivio

Trump rimane infatti il superfavorito del Gop, nonostante i 91 capi di imputazione che pendono sulla sua testa. Nel 2023 infatti Trump è stato incriminato in quattro processi penali, è stato condannato per aver aggredito sessualmente la scrittrice E Jean Carroll e si è trovato di fronte alla prospettiva di perdere il diritto di fare affari a New York, dove ha costruito il suo impero immobiliare.

A fine anno, inoltre, il Colorado e il Maine hanno tolto il nome dell'ex presidente dalle schede delle loro primarie, citando la Costituzione americana che esclude dalle cariche pubbliche chiunque sia stato coinvolto in un’insurrezione, con riferimento all’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021. I due casi sono approdati alla Corte Suprema, dove si discuterà il diritto di Trump di candidarsi l’8 febbraio, mentre i giudici potrebbero pronunciarsi a marzo. L’effetto della sentenza sarebbe retroattivo.
Si tratta dell’unica vera spada di Damocle giudiziaria che potrebbe ostacolare (o fermare) la campagna del magnate, perché finora i suoi guai legali non hanno spento l’entusiasmo della sua base, che Trump ha tenuto vivo accusando procuratori e giudici di interferenze elettorali.

Trump ha descritto ogni mossa legale contro di lui come la prova che è un martire, perseguitato dai suoi nemici politici, ma determinato a continuare a combattere – non per salvare la propria pelle, ma per proteggere i suoi sostenitori. “Ricorda, non stanno dando la caccia a me, amico, stanno dando la caccia a te. Ma io mi metterò sempre sulla loro strada per fermarli”, ha scritto di recente sulla sua rete sociale Truth. L’Iowa dimostrerà se questa strategia, che adotta da quasi quattro anni, continua ad avere presa.