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Israele. Stop alle speranze: i due fratellini Bibas e la madre sono morti

Anna Maria Brogi martedì 18 febbraio 2025
Manifestazioni in Israele per la liberazione della famiglia Bibas

Manifestazioni in Israele per la liberazione della famiglia Bibas

Israele non aveva mai voluto credere alla loro uccisione, annunciata nel novembre 2023 da Hamas e avvenuta con tutta probabilità nei bombardamenti delle prime settimane di guerra. Aveva festeggiato inesistenti compleanni, con palloncini gialli. Ora la cruda verità della morte di Kfir, a 9 mesi, del fratellino Ariel, a 4 anni, e della madre Shiri, a 32, costringe anche gli increduli a guardare in faccia la disumanità della guerra. I loro corpi saranno restituiti giovedì, assieme a quello di un quarto ostaggio. Sarà l’unica risposta, muta, all’appello rivolto dal padre, Yarden Bibas, al governo di Benjamin Netanyahu il 2 febbraio, all’indomani del suo rilascio a Gaza. Separato dalla moglie e dai figli nel massacro del kibbutz di Nir Oz, il 7 ottobre 2023, aveva subito la tortura psicologica di essere filmato mentre un altro ostaggio era costretto a informarlo della morte dei suoi cari. A fare i nomi della famiglia Bibas è stato il caponegoziatore di Hamas, Khalil al-Hayya, in un discorso registrato. L’ufficio di Netanyahu ha chiesto prudenza «per proteggere la privacy delle famiglie» finché non verranno eseguite le analisi del Dna.

Quanto ai vivi, sei ostaggi torneranno a casa sabato. E saranno gli ultimi della prima fase. Si tratta di Eliya Cohen (27 anni), Omer Shem Tov (22) e Omer Wenkrat (23) rapiti al Festival Nova e di Tal Shoham (40), Hisham al-Sayed (36), beduino con problemi mentali entrato per errore a Gaza nel 2015 e rapito, e Avera Mengistu (39), nato in Etiopia ed entrato a Gaza nel 2014. Entro il 1° marzo, resteranno da trasferire quattro cadaveri. La decisione di accelerare i tempi (l’accordo prevedeva tre ostaggi questo sabato e tre il successivo) è stata presa da Hamas in cambio dell’ingresso a Gaza di macchinari pesanti, case mobili e materiali edili. Nella Striscia rimarranno 59 ostaggi, dei quali 26 dichiarati morti e una decina sicuramente in vita, stando alle prove giunte alle famiglie nelle ultime settimane anche attraverso gli ex rapiti. Oggetto di scambio, per il rilascio anticipato, è stato anche l’impegno di Israele ad avviare i colloqui per i dettagli della seconda fase, che sarebbero dovuti partire il 3 febbraio. Il ministro degli Esteri Gideon Saar ha confermato che Tel Aviv siederà al tavolo delle trattative settimana, aggiungendo la richiesta di «una completa smilitarizzazione di Gaza» e di «nessuna presenza dell’Autorità nazionale palestinese» nel dopoguerra. Il ministro si è detto a conoscenza dell’esistenza di un piano della Lega Araba alternativo a quello della “Riviera Gaza” del presidente americano Donald Trump che tanto piace al governo e alla maggior parte dell’opinione pubblica israeliana. Il leader dell’opposizione Yair Lapid ha annunciato che la prossima settimana sarà a Washington per proporre un piano «supplementare»: «Il ruolo della leadership israeliana – ha detto – è di presentare progetti e non solo aspettare gli americani».

Il piano dei Paesi Arabi, da 20 miliardi di dollari per ricostruire Gaza in tre anni, sarà discusso venerdì a Riad dai leader di Egitto, Giordania, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. A differenza di quanto proposto da Trump, ai palestinesi verrebbe lasciata la libera scelta di partire o restare anche durante la ricostruzione. Il vertice straordinario della Lega Araba su Gaza, al Cairo, è stato rinviato al 4 marzo.

Sul terreno la tregua regge, a un mese esatto dall’entrata in vigore e per quanto al-Jazeera riferisca di 266 violazioni da parte israeliana che avrebbero ucciso 132 palestinesi ferendone più di 900.

Scaduta oggi la proroga al ritiro delle truppe israeliane dal sud del Libano, è confermato che rimarranno in «cinque punti strategici» per monitorare il confine. Protesta Beirut, che parla di «occupazione» e invoca l’intervento del Consiglio di sicurezza dell’Onu. In una nota congiunta, l’inviato Onu e le forze di pace Unifil confermano che si tratta di una violazione dell’accordo scaturito dalla risoluzione 1701 dell’Onu.