Asia. Legge sull'aborto in Corea del Sud, i giudici ordinano lo stop al bando
Il verdetto è stato preceduto da manifestazioni di gruppi pro-abortisti fuori dal palazzo della Corte Costituzionale di Seul
Con l’ordine emesso oggi dalla Corte Costituzionale di approvare entro il 2020 una legislazione meno restrittiva di quella attuale riguardo l’aborto oppure di vedere abrogata la legge che risale al 1953 che lo proibisce, il Parlamento sudcoreano si trova ad affrontare un grave dilemma. L’aborto è infatti illegale ma ampiamente praticato, con pene pesanti sulla carta ma raramente applicate. Come conseguenza, centinaia di migliaia di aborti segnano la società sudcoreana, con gravi rischi e costi significativi per le donne, sia sul piano economico, sia sociale.
I nove giudici costituzionali si sono pronunciati a seguito del ricorso di un’ostetrica condannata nel 2017 per avere praticato una settantina di aborti su donne consenzienti tra il 2013 e il 2017. La legge ora ammette le pratiche abortive solo in caso di gravidanza conseguenza di stupro e incesto oppure quando sia messo a serio rischio la salute della madre o – nel caso di partner portatori di gravi patologie – quella del feto. Un anno di carcere per la donna e due anni per chi pratica l’interruzione della gravidanza sono le pene massime previste. Tuttavia, per i dati dell’Istituto coreano per la Salute e gli Affari sociali, che indica come ragioni l’impossibilità a proseguire gli studi o le attività lavorative, le difficoltà economiche e il desiderio di avere una gravidanza posticipata, il 7,6 per cento delle donne tra i 15 e i 44 anni ha avuto almeno un aborto.
Tra disaffezione verso convenzioni sociali coercitive, incertezza economica crescente, dubbie politiche ufficiali di sostegno al madri single e alle famiglie, il Paese ha anche nell’aborto la ragione di una dei più bassi tassi di crescita demografica al mondo. Nel 2018 è stato di 0,98 figli per donna in età fertile, indicato dall’ente governativo di Statistica come «il peggiore da quando – nel 1970 – le autorità hanno cominciato a raccogliere dati specifici».
Il rammarico dei vescovi: «È sempre un peccato»
I vescovi della Corea del Sud esprimono «profondo rammarico» per la sentenza della Corte Costituzionale che «nega il diritto fondamentale alla vita del feto, creatura che non ha la capacità di difendersi», afferma un comunicato dei vescovi coreani pervenuto all'Agenzia Fides, firmato da monsignor Igino Kim Hee-jung, presidente del Conferenza episcopale. «Si assegna, inoltre, la responsabilità di una gravidanza indesiderata solo alle donne, esentando ingiustamente gli uomini», rileva il testo. «L'aborto è un peccato, lo è uccidere per qualsiasi motivo una vita innocente nel grembo materno: questo è l'insegnamento della Chiesa Cattolica che non può mai giustificare tal pratica», si legge. I vescovi rimarcano che, «la Chiesa cattolica nella Repubblica di Corea continuerà a offrire sostegno e assistenza a donne e uomini che, nel disagio o nella sofferenza, si trovano a dover sconfiggere la tentazione dell'aborto, dicendo sì alla nascita di una vita». Inoltre, si afferma, «le porte della Chiesa rimangono aperte alle donne che soffrono di ferite emotive, spirituali e fisiche e hanno bisogno di riconciliazione e guarigione a causa dell'aborto».
La Chiesa cattolica in Corea «esorta vivamente il potere legislativo ed esecutivo dello stato a introdurre leggi e istituzioni che incoraggino le donne e gli uomini, in circostanze difficili, a scegliere la vita piuttosto che la morte».