«Il perdono cura la memoria, non la cancella». Le parole del vescovo guatemalteco Juan José Gerardi (1922-1998) risuonano ancora più attuali, oggi, durante il processo a Rios Montt. Dopo un’intera vita spesa a fianco degli indios e dei più deboli (costretto anche a due anni di esilio), nel 1988 monsignor Gerardi fu scelto dalla Conferenza episcopale per partecipare alla Commissione Nazionale di Riconciliazione: primo passo verso il progetto interdiocesano Remhi, Recupero della Memoria Storia. Un enorme lavoro di ascolto e trascrizione di migliaia di testimonianze, alla ricerca della verità. Il rapporto – intitolato «Guatemala nunca más», Guatemala mai più – rivelò gli orrori di quattro decenni fra stragi, torture, violenze sessuali, fosse comuni. L’80 per cento dei crimini contro l’umanità raccolti nello studio furono attribuiti a militari o paramilitari: un triste copione già consumatosi in altri Paesi dell’America latina. Ma monsignor Gerardi pagò con la vita la sua coraggiosa denuncia. Quarantotto ore dopo la pubblicazione del rapporto – il 26 aprile del 1998 – fu ucciso nel garage della sua parrocchia di San Sebastián: il suo volto venne sfigurato. Il processo per far luce sull’omicidio durò quasi dieci anni e terminò con una condanna di 20 anni per un ex colonnello di Quiché e il figlio, comandante. Ma i mandanti dell’assassinio non sono mai stati identificati.