Baku. La Cop29 promette trilioni per il clima. Ma non mette per iscritto quanti
Una manifestazione per sensibilizzare i Paesi ad assumere impegni concreti per il clima alla Cop29
Le migliaia di miliardi – o “trillions”, in inglese – sono scritti nero su bianco. Al posto delle cifre, però, la bozza del testo finale della 29esima Conferenza Onu sul clima (Cop29), arrivata all’alba, è disseminata di “X”. L’accordo sulla quantità di aiuti da erogare ai Paesi del Sud del mondo per far fronte al riscaldamento globale – Nuovo obiettivo collettivo quantificato (Ncqg ) – non è stato ancora trovato a un giorno dalla fine del vertice, programmata per le 18 di oggi. A meno di un improvviso colpo di scena – a cui pochi fra i 65mila delegati credono –, la Cop andrà ai supplementari. Fatto ormai consueto.
Stavolta, però, i negoziati per trovare un compromesso tra la richiesta di almeno mille miliardi da parte degli Stati poveri e la reticenza dei ricchi a pagare, appaiono ancora più tesi. Tanti puntano il dito sulla presidenza «poco trasparente» del summit, rappresentata Mukhtar Babayev, ministro dell’ambiente azero. Linda Kalcher, negoziatrice di Strategic perspectives, parla di «bluff» dovuto al fatto che le economie più avanzate non hanno voluto scoprire le carte. Con queste ultime, Babayev starebbe conducendo un negoziato parallelo e segreto. Il tempo per far confluire le due trattative – ufficiale e informale – stringe. E i dissidi restano, come dimostrato dal “Qurultay”, l’assemblea-maratona, in cui la pressione accumulata in quasi due settimane è esplosa in interventi accesi e semi-litigi tra i 197 Paesi più l’Ue riuniti a Baku.
Uno dopo l’altro, i partecipanti hanno respinto il testo. Per il commissario europeo dell’Energia, Wopke Hoekstra, è «inaccettabile», per l’inviato di Washington, John Podesta è «squilibrato», per quello di Pechino, Xia Yingxian, non trova un punto di incontro. Durissimo il negoziatore di Panama, Juan Carlos Monterrey Gómez – «È uno spettacolo di clown. Un circo» –, che ha ottenuto l’applauso dell’ “ala Sud” del Qurultay. «Il fallimento non è un’opzione», ha cercato di mediare il segretario delle Nazioni Unite, António Guterres, che si è rivolto direttamente a «ministri e negoziatori»: «Ammorbidite le posizioni, tracciate un percorso che tenga insieme le differenze, non perdete di vista il quadro generale». Retorica a parte, lo scontro vero non è sul “quanto” pagare: è assodato – come dal gruppo di esperti incaricato dall’Onu di elaborare le stime – che siano necessari migliaia di miliardi. Il punto è come trovarli e chi deve farlo. Come si evince dal documento, ci sono due opzioni nette. La prima – sostenuta dal Nord geopolitico – propone di raggiungere tale somma ricorrendo a «tutte le forme di finanziamento»: aiuti diretti, investimenti privati e prestiti. Il Sud globale, invece, già schiacciato dal debito, chiede «sovvenzioni o equivalenti» da parte principalmente di Europa, Stati Uniti e Giappone e da fondi privati associati. Anche quest’ultimo punto è dibattuto.
I Grandi insistono perché siano incluse nuove potenze come Pechino e gli Stati petroliferi del Golfo. Proprio la Cina potrebbe giocare un ruolo cruciale nelle prossime ore: la nazione dà già miliardi di dollari – 4.500 l’anno – nell’ambito della cooperazione con Asia, Africa e America Latina. Potrebbe, dunque, prendere un impegno non formale, pur salvando la regola della volontarietà contenuta nella Convenzione sul clima del 1992 da cui discendono le Cop. Infine, c’è il duello, affatto scontato, sui combustibili fossili. L’anno scorso, a Dubai, la formula «avvio della transizione verso l’uscita» aveva consentito un’intesa storica per mettere fine all’era di petrolio e gas. Riad, però, sta giocando una delicata partita per un passo indietro, trasformando «l’uscita» in una scelta fra tante. Il Paese anfitrione sarebbe d’accordo. È stato il presidente azero Ilham Aliyev a definire il petrolio «un dono di Dio». Se oltre a mancare l’accordo sulla finanza, si riaprisse pure la diatriba sui fossili, il «circo» diventerebbe «una tragedia».