Lo studio. La disinformazione corre sul Web: «Si punta alla mobilizzazione violenta»
L'allarme disinformazione fa capolino alla Cop28 di Dubai
«Il mondo si sta raffreddando». È solo uno dei bizzarri proclami che circolano nel web a insinuare l’idea che il riscaldamento globale è una bufala. Fenomeno di stampo negazionista arricchito da speculazioni complottiste secondo cui, per esempio, gli appelli a cambiare lo stile di vita per renderlo più amico dell’ambiente è solo il modo con cui le élite vogliono costringere il mondo a una dieta a base di insetti e cibo di laboratorio. La disinformazione su clima è un problema che peggiora di anno in anno. A segnalarlo è Climate Action Against Disinformation (Caad), una coalizione internazionale di oltre 50 associazioni ambientaliste, che passa al setaccio siti e social network per intercettare le fake news sul clima e per capire chi, e perché, le ha diffuse.
L’edizione 2023 del rapporto, pubblicato poco prima dell’inizio della Cop28, segnala che l’hashtag #ClimateScam ha avuto l’anno scorso su X/Twitter un boom senza precedenti. A rendere virali i post di contenuti ecoscettici sono pochi ma attivissimi account che diffondono contenuti pubblicati a pagamento su determinati siti web. Alcuni sono i “soliti” troll cinesi e russi particolarmente vivaci in inglese, tedesco, francese e spagnolo. Caad ha individuato quindici siti inclini, più degli altri, a ospitare articoli sponsorizzati di disinformazione climatica. Tra questi non c’è solo Breitbart.com, riconducibile all’estrema destra statunitense, ma anche la versione online del quotidiano britannico The Telegraph e dell’emittente Sky News Australia.
Il dossier dedica un capitolo a parte al “greenwashing”, la strategia che amplifica l’ecosostenibilità di attività, come quelle estrattive, che sono difficilmente compatibili con la lotta al cambiamento climatico. Un derivato della misinformazione che si nutre di messaggi vaghi, ovvi o irrilevanti. Tredici sono le multinazionali del petrolio che, secondo i ricercatori, si sono distinte su questo fronte. Insieme, hanno speso 5,21 milioni di dollari in pubblicità ambigua sui social. In cima alla lista ci sono Shell, Exxon Mobil, Bp e TotalEnergies. Undicesima è la società di distribuzione del gruppo Abu Dhabi National Oil Company, il “gigante” petrolifero presieduto da Ahmed Al Jaber, il sultano che fa da padrone di casa alla Cop28. Dettaglio che esaspera la polemica sulla leadership del summit affidata a un Paese “big oil”. A luglio scorso, lo ricordiamo, Marc Owen Jones, esperto in comunicazione dell’università Hamad Bin Khalifa del Qatar, individuò almeno cento account falsi sui social media a difendere la legittimità della Cop di Dubai.
La disinformazione in ambito climatico, conclude la ricerca, è un modo per “ritardare la decarbonizzazione” che, tuttavia, causa quella divisione sociale che “indebolisce il sostegno ai sistemi democratici liberali”. L’“allarmante mobilitazione alla violenza” segnalata da Caad trova conferma anche in altre ricerche. Come quella dell’associazione Global Witness secondo cui il 73% degli scienziati climatici regolarmente presenti nei media subiscono abusi e molestie. La scorsa primavera fecero notizia le minacce ricevute dai meteorologi dell’Aemet, società metereologica spagnola, per aver segnalato l’insolita assenza di piogge. Per il “populismo climatico”, se così lo si può chiamare, la siccità è del resto solo un’opera di bioingegneria.