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La Cop29 di Baku. «Mille miliardi agli ultimi per scongiurare il disastro»

Lucia Capuzzi venerdì 15 novembre 2024

La protesta degli attivisti ambientali a margine dei lavori della Cop29 in corso a Baku in Azerbaigian: ieri si è conclusa la fase ad “alto livello” con la presenza, scarsa, dei leader internazionali

Sarà – per parafrasare il pluripremiato film di Clint Eastwood – una “trillion dollar Cop”? Terminata la maratona iniziale, nei corridoi della stadio di Baku, svuotati dei leader internazionali e dei rispettivi proclami, spesso vaghi o fuorvianti, l’interrogativo si affaccia con insistenza. Ai 65mila delegati presenti alla 29esima Conferenza Onu sul clima (Cop29) resta una settimana esatta – al netto del consueto ricorso ai tempi supplementari – per rispondere. Sul passaggio da miliardi a migliaia di miliardi o, appunto, trilioni, si gioca il risultato del vertice. Cento miliardi è la cifra, secondo quanto deciso nel 2009, che, al momento, i Paesi di vecchia industrializzazione sono tenuti a versare per aiutare le nazioni povere a contenere le emissioni e adattarsi all’aumento delle temperature.

La somma, obsoleta rispetto alle attuali necessità, scadrà nel 2025 e il compito di questa Cop è definire un nuovo ammontare o Nuovo obiettivo collettivo quantificato (Ncqg) e da quando renderlo operativo. L’ordine di grandezza – sostengono compatti i vari gruppi che rappresentano il Sud globale – deve essere il migliaio di miliardi. Lo stesso ha affermato ieri il terzo rapporto di esperti indipendenti guidato dagli economisti Nicholas Stern, Vera Songwe e Amar Bhattacharya che, dal 2021, accompagna le trattative finanziarie delle Cop. Per l’esattezza, mille miliardi l’anno a partire dal 2030, con cinque anni di anticipo, dunque, rispetto a quanto ipotizzato finora nei negoziati, sulla base delle precedenti indagini.

Lo scenario, nel frattempo, però, è ulteriormente peggiorato. Attendere un decennio per un intervento massiccio, provocherebbe danni irreparabili le cui conseguenze ricadrebbero sull’intero pianeta. «Occorre agire subito se non si vuole spendere molto di più – ha sottolineato Stern -. La cifra di mille miliardi dollari l’anno per i Paesi ricchi è perfettamente raggiungibile». Lo studio spiega nel dettaglio come. La metà potrebbe provenire da investimenti del settore privato, circa 250 miliardi di dollari dalle banche multilaterali di sviluppo e il resto da un mix fatto di sovvenzioni dirette di fonti, tra cui sovvenzioni dirette dai paesi sviluppati alle nazioni vulnerabili, contributi del Fondo monetario internazionale (Fmi) e nuove forme di tassazione.

Proprio l’idea delle cosiddette «imposte di solidarietà» è stata rilanciata con forza ieri dalla task force avviata da Francia, Barbados e Kenya e guidata dall’ex diplomatica Laurence Tubiana, architetta degli Accordi di Parigi. Tra le loro proposte, la tassa sulle criptovalute, la cui estrazione, tra l’altro, ha rappresentato l’uno per cento della domanda globale di elettricità. Con il pagamento dello 0,045 dollari per kilowatt/ora si otterrebbero cinque miliardi di dollari da destinare alla transizione energetica dei Paesi poveri. Altre fonti di finanziamento suggerite, le imposte sui polimeri (25-35 miliardi), sui viaggiatori frequenti e i biglietti aerei di classe business (164 miliardi) e la patrimoniale del 2 per cento per i super-ricchi (200-250 miliardi). I mezzi, dunque, ci sono. Il punto – ha tuonato Stern di fronte ai negoziatori – è la volontà. E quest’ultima scarseggia, a giudicare da quando affermano fonti vicine alle trattative, nonostante l’ottimismo esibito dal padrone di casa, il capo-negoziatore dell’Azerbaigian, Yalchin Rafiyev. «Dopo un procedimento tecnico di tre anni, finalmente abbiamo un testo base su cui lavorare», ha detto.

La gran parte dei delegati, però, non condivide la sua opinione. Le divisioni sul quanto e su chi deve elargirlo restano profonde. Gli Usa, insieme al Giappone, vorrebbero che i primi a impegnarsi fossero nuovi donatori, ovvero la Cina e le potenze del Golfo che, a differenza del 2009, ormai hanno standard economici tali da potere essere inclusi fra i contribuenti. Pechino rilancia sottolineando la centralità dell’asse Nord-Sud. Africa, Piccole Isole e Stati emergenti insistono sulla “trillion dollar Cop”. Il finale è aperto, nella speranza che sia più roseo del film di Clint Eastwood.