Il conflitto. Israele prepara l'attacco contro l'Iran, gli obiettivi possibili
Un poliziotto ispeziona il 7 ottobre 2023 ciò che è rimasto a testimoniare il massacro al Festival Nova di Re’im: lì i terroristi hanno ucciso o rapito i giovani che partecipavano all’evento musicale. Il luogo è diventato uno dei simboli del dolore di un popoloUn poliziotto ispeziona il 7 ottobre 2023 ciò che è rimasto a testimoniare il massacro al Festival Nova di Re’im: lì i terroristi hanno ucciso o rapito i giovani che partecipavano all’evento musicale. Il luogo è diventato uno dei simboli del dolore di un popolo
«Israele ha il dovere e il diritto di difendersi e rispondere agli attacchi, ed è ciò che faremo». Parola di Benjamin Netanyahu. Parlando alla nazione sabato 5 ottobre, il premier l’ha preparata all’attacco contro l’Iran che, ha detto, «è dietro tutte le minacce. Hanno lanciato centinaia di missili contro di noi in uno dei più grandi attacchi della storia. Nessun Paese al mondo lo accetterebbe e nemmeno Israele lo accetterà». Il portavoce dell’esercito, Daniel Hagari, ha detto che la risposta arriverà «quando e dove decideremo».
Fiato sospeso, dunque, per l’anniversario del 7 ottobre. Tempistica perfetta per silenziare le manifestazioni di dissenso interno e le critiche dall’estero. Diversi eventi sono stati annullati o ridimensionati. Dichiarato lo stato di allerta per il rischio di attentati. Da Damasco, dove ha fatto tappa dopo una visita in Libano, il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, rilancia l’escalation: «La risposta a qualsiasi aggressione sarà ancora più forte». Per il presidente francese Emmanuel Macron «la priorità è tornare a una soluzione politica, smettendo di consegnare armi».
Netanyahu: «Si vergogni». Mentre l’esercito prosegue i raid e le incursioni di terra – con bombe su Beirut e sulla valle orientale della Bekaa –, nel fine settimana è arrivato in Israele il generale americano Michael Kurilla, che guida il Comando militare centrale (Centcom). Stando a Ynet, dovrebbe coordinare con Tel Aviv la risposta a Teheran. Il presidente Joe Biden si è limitato a commentare: «Nessuna Amministrazione più della mia ha aiutato Israele, e Netanyahu dovrebbe ricordarsene». Ma a chi gli chiedeva se si arriverà alla guerra totale: «Quanto sei sicuro che non pioverà?», ha replicato. «Penso che possiamo evitarla, ma c’è ancora molto da fare. Le nostre squadre sono in contatto dodici ore al giorno». Sui dettagli della risposta israeliana, chiude: «Questo è tra me e loro».
Di certo c’è che Biden non ha ancora sentito Netanyahu, con il quale all’indomani dell’attacco iraniano del 1° ottobre aveva detto che si sarebbe confrontato «a breve». Da parte di Tel Aviv non ci sarebbero le garanzie chieste sull’esclusione dai raid degli impianti nucleari e dei giacimenti petroliferi. «Se fossi al loro posto, penserei ad alternative », suggerisce Biden. Più aggressivo Donald Trump, a meno di un mese dal voto che porterà lui o la vicepresidente Kamala Harris alla Casa Bianca: «La risposta doveva essere: colpite il nucleare prima e preoccupatevi poi». Una linea molto vicina a quella dell’estrema destra di governo israeliana. Dal Libano arrivano le prime conferme della morte del successore designato di Nasrallah alla guida di Hezbollah, Hashem Safieddin. Un funzionario del gruppo ha dichiarato che «si sono persi» i contatti dalle prime ore di venerdì, quando 73 tonnellate di esplosivo hanno investito il bunker dove presumibilmente si trovava a Beirut. Un’altra fonte vicina a Hezbollah ha rivelato: «Il partito sta tentando di raggiungere la sede che è stata colpita sotto terra, ma Israele conduce sistematicamente nuovi raid per ostacolare gli sforzi dei soccorritori».
Secondo la fonte, Safieddin «era accompagnato da Hajj Mortada, capo dell’intelligence». Identica sorte per un leader militare di Hamas, eliminato nel nord del Libano. Saeed Atallah Ali, capo delle brigate al-Qassam, è stato ucciso assieme alla moglie e alle due figlie piccole: un drone ha distrutto la loro abitazione nel campo profughi di Beddawi, vicino a Tripoli. Hamas minaccia vendetta. Nulla si sa, invece, della sorte del leader del gruppo, Yahya Sinwar. In assenza di prove contrarie, alti funzionari statunitensi sentiti dal New York Times lo danno per vivo, pur pesantemente limitato nella possibilità di comunicare e di spostarsi. In una strategia disperata, punterebbe sull’allargamento del conflitto per alleggerire la pressione su Gaza.
Se è vero che Hezbollah non è Hamas, ma un esercito meglio organizzato e ancor meglio armato, tecniche di guerriglia già viste nell’enclave si stanno ripetendo nel sud del Libano. Le forze israeliane avrebbero colpito un centro di comando e un gruppo di terroristi che stavano operando in una moschea accanto all’ospedale Salah Ghandour. Prima del raid, ai residenti è stato intimato di evacuare l’area. Paradossalmente, la stessa richiesta è stata fatta dagli israeliani alle forze di interposizione dell’Unifil, la missione Onu che dal 2006 presidia la Linea Blu di separazione tra Israele e Libano. L’avviso è stato recapitato il 30 settembre. Secca la risposta dell’Unifil, che comprende anche la missione italiana con un migliaio di soldati: «I peacekeeper rimangono in tutte le posizioni e la bandiera delle Nazioni Unite continua a sventolare».