Africa. Che cosa sta succedendo in Congo (per cui il Papa ha pregato all'Angelus)
Una bandiera congolese in piazza San Pietro durante l'Angelus
Ha rivolto un appello accorato papa Francesco, durante l’Angelus domenicale, tornando ancora una volta a denunciare le tragedie del Congo Orientale: «Rivolgo il mio appello alle autorità nazionali e alla comunità internazionale perché sia fatto tutto il possibile per interrompere le violenze e salvaguardare le vite dei civili». Citato dal portale Actu Congo, il Pontefice ha sottolineato che «troppi cristiani sono sterminati per motivi di fede», in molti Paesi, Congo compreso, le cui regioni orientali pullulano di banditi e terroristi, con oltre 120 gruppi armati censiti dal barometro di sicurezza locale. Massacri, incendi di abitazioni, saccheggi e devastazioni di villaggi sono all’ordine del giorno.
Siamo nell’area della 34esima regione militare dell’esercito congolese, nel settore operativo Sokola 2, dove i lealisti, appoggiati ancora per breve tempo dalla forza d’intervento rapido delle Nazioni Unite e da contingenti dei Paesi dell’Africa australe, devono vedersela soprattutto con i ribelli dell’M23, avversario numero uno. Secondo il Palazzo di Vetro, i miliziani agirebbero sempre più come un esercito convenzionale. Forse, senza supporti esterni, sarebbero facilmente sconfitti, ma resistono, puntando a ritagliarsi una fetta del ricco bottino del Congo orientale, terra fertile, ricca di oro, diamanti e minerali rari, forieri di un commercio illegale verso il Ruanda, ri-etichettati qui con marchi locali e riesportati verso i mercati internazionali, ad onta dell’embargo. Secondo il magazine Le360, Kigali sta facendo carte false per soffiare il Kivu alla Repubblica democratica del Congo e farlo entrare stabilmente nella sua sfera d’influenza. Un modo per alleggerire la pressione demografica interna e spezzare la frattura geografica con l’Africa occidentale.
Che il Ruanda abbia mire espansionistiche è un dato storico, risalente all’ultima decade del 1800 e al re Rwaguburi. Oggi, le ambizioni si stanno concretizzando. Nel febbraio scorso, un drone da sorveglianza delle Nazioni Unite ha identificato soldati ruandesi a bordo di blindati da trasporto truppe 19 km in profondità nel Nord-Kivu, una regione turbolenta da almeno due decenni che, integrata nella rete trans-congolese, guarda in minima parte all’Atlantico e si protende verso oriente, perché dall’ovest e dalla capitale è separata dalla foresta pluviale. Nonostante il Ruanda neghi ogni supporto ai miliziani, secondo l’agenzia Bloomberg avrebbe proiettato oltreconfine 3mila uomini e continuerebbe ad addestrare i ribelli in un campo vicino al confine, armandoli con visori notturni, cannoni senza rinculo, armi anti-drone, lanciagranate e mortai pesanti. Per le Nazioni Unite, citate fra gli altri da Africa Rivista, i guerriglieri avrebbero disponibilità di armi leggere all’avanguardia, fra cui fucili d’assalto israeliani e russi, droni e sistemi contraerei spalleggiabili. A febbraio, un loro missile avrebbe mancato per un soffio un drone dei caschi blu, in volo a una settantina di chilometri a nord di Goma, ma avrebbe fatto centro contro due velivoli governativi.
Avvenire si occupa da tempo di questa sporca guerra, evidenziando i rischi di un conflitto diretto fra Kinshasa e Kigali. La prima parla oggi di guerra «possibile»: lo ha preannunciato lo scorso marzo il presidente congolese, Felix Tshisekedi, in un’intervista al quotidiano Le Figaro. Il Presidente è stato franco: il Ruanda «sta violando il nostro territorio per saccheggiarne i minerali essenziali e terrorizzare il nostro popolo». Tshisekedi ha sollecitato una comunità internazionale finora «inerte» a varare sanzioni contro Kigali. La guerra silente fra i due vicini è già in corso: il 24 gennaio 2023, l’esercito ruandese ha sparato dal suo territorio con la contraerea, danneggiando un’ala di uno dei rari cacciabombardieri congolesi ancora in grado di volare. E, il 3 marzo 2023, gli esperti delle Nazioni Unite hanno rinvenuto in un campo militare congiunto fra l’M23 e le forze ruandesi tracce di transito di mezzi pesanti. Nel frattempo la situazione nell’Est del paese si è fatta drammatica, peggiorata dal 2023 in poi: a metà dicembre scorso, un rapporto redatto da esperti delle Nazioni Unite parlava chiaro: «sono ripresi combattimenti intensi fra l’M23, appoggiato dalle forze ruandesi, e i lealisti, supportati dai giovani Wazalendo, dalle Fdlr, dal gruppo Nyatura, da soldati del Burundi» e da mercenari di due compagnie private: Agemira e Congo Protection, l’ultima delle quali in mano all’uomo d’affari congolese Bijou Eliya e a Patrick Bologna, politico oltre che imprenditore italo-congolese e console onorario di Kiev a Kinshasa. Nel 2023, la rivista Africa Intelligence segnalava a Goma, capoluogo del Nord-Kivu, pure la presenza di mercenari dell’allora Wagner Group, ma il governo di Kinshasa ha sempre negato, pur avendo siglato con Mosca un accordo di cooperazione tecnico-militare nel 2018, poi ampliato nel marzo 2024. L’intesa contemplerebbe la fornitura di armi, l’invio di missioni di consulenza, l’addestramento, le esercitazioni congiunte e la visita di navi militari e jet da guerra, in una tendenza all’internazionalizzazione delle forze armate congolesi, addestrate da una miriade di partner. Arriverà allora anche l’Africa Corps, erede dei wagneriani, ma emanazione diretta del ministero della Difesa russo? E’ presto per dirlo perché il presidente congolese è guardingo, timoroso che un partenariato troppo stretto con Mosca possa nuocere al suo paese, ribaltandone il tradizionale equilibrismo diplomatico. Fonti congolesi, citate dall’esperto Philippe Chapleau, confermano che i mercenari combattono. Quelli di Congo Protection avrebbero partecipato ad azioni belliche sul fronte a ovest di Goma e, il 7 febbraio, due di loro sarebbero morti nei combattimenti a Sake, città ancora in mano ai governativi, 25 km più in là dal capoluogo. Per il portale Crisis 24, c’è il rischio che gli scontri si amplino a Masisi, Nyiragongo e Rutshuru, alla periferia di Goma. Le strade fra l’ultima e Sake sono spesso interrotte, compresa la nazionale numero 2, perché bloccate dall’M23 e dai suoi affiliati. L’unica via d’uscita corre al confine con il Ruanda, il che è tutto dire. Se Sake cadesse, i rifornimenti per la città e Goma non avrebbero più accessi, né a nord, né a ovest, né a sud, perché già in mano all’M23, un nemico sfuggente, acquartierato sul versante occidentale del Monte Sabinyo, munito di un’altra base sul Monte Visoke e dotato di posti d’osservazione pure lungo la frontiera fra il Ruanda e l’Uganda. Contro i miliziani filo-ruandesi è guerra.
Nella prima settimana di giugno, i governativi hanno strappato loro diverse località, fra cui Kikuku, Lusogha, Butalongola e Kilambo. Ma, dopo una calma apparente, dal 13 del mese e per 72 ore, il nemico ha bombardato la città di Kanyabayonga, uccidendo un soldato, una donna e ferendo dieci civili. Ci sono stati combattimenti pure a Bulindi, Muona e Kakhowa, vicino a Butalongola, poco distante da Kanyabayonga. Silenti erano altri assi, controllati dall’M23. Vedremo quale sarà la prossima mossa dei lealisti, che devono vedersela pure con i ribelli ugandesi delle Adf, autori di massacri nella notte fra l’8 e il 9 giugno. L’organizzazione Voix Sans Voix pour les Droits de l’Homme ha denunciato l’impotenza dei lealisti, dei caschi blu e degli eserciti dell’Africa australe, a dispetto di uno stato d’assedio che va avanti da 3 anni. E sabato 15 giugno, la società civile del Grand Nord-Kivu ha lamentato che, nell’ultimo mese, gli attacchi delle Adf hanno ucciso non meno di 200 civili nei soli territori di Lubero e Beni. Sembra che i terroristi, sorta di unni dell’età contemporanea, vogliano mandare rinforzi anche a Baswagha-Madiwe, dove hanno compiuto incursioni in vari villaggi. Secondo Radio Okapi, loro scherani sarebbero segnalati ad ovest di Biakato, nella provincia limitrofa dell’Ituri, dove, il 16 giugno, avrebbero teso un agguato a un gruppo di agricoltori che scendeva verso i campi a Kamawe.