Cina. Blogger australiano condannato a morte (con pena sospesa)
La Corte di Pechino che ha condannato il blogger australiano Yang Hengjun
“Siamo sconvolti, straziati. Non ci aspettavamo tutto questo”. La notizia arriva come uno schiaffo a Sydney, dove vive la famiglia dello scrittore e blogger australiano Yang Hengjun. La sentenza è terribile: condanna a morte con pena sospesa. Un meccanismo previsto dalla (in)giustizia cinese: la commutazione della pena capitale in ergastolo in caso di buona condotta per due anni. Il calvario del blogger 58enne, che ha sempre respinto le accuse a suo carico, si trascina ormai da anni. Nel 2019 Yang – nato in Cina ma divenuto cittadino australiano nel 2002 - viene arrestato all'aeroporto di Guangzhou. Era appena approdato in Cina per visitare la famiglia, con un volo da New York. Contro di lui è stata “disegnata” una accusa (dai contorni imprecisati) per spionaggio verso un Paese che la Cina non mai ha identificato pubblicamente e risalente agli anni 1989 al 1999, quando Yang era dipendente del ministero della Sicurezza cinese. Prima della sua detenzione, Yang pubblicava regolarmente commenti satirici o critici nei confronti del governo cinese, vantando un seguito di quasi 130mila follower su X. È autore anche di una serie di romanzi di spionaggio.
Si tratta di un "grave caso di ingiustizia", ha detto alla Reuters Feng Chongyi, professore associato di Studi cinesi all’Università di Tecnologia a Sydney e amico di lunga data di Wang, in carcere ormai da 5 anni. "Quella del governo cinese è una vera e propria punizione inflitta per le critiche alle violazioni dei diritti umani in Cina e per la sua difesa di valori universali come i diritti umani, la democrazia e lo stato di diritto. Si tratta di una persecuzione politica scandalosa e di un’inaccettabile detenzione arbitraria di un cittadino australiano innocente”, ha aggiunto.
Come riporta ancora la Reuters, prima dell’arresto, Yang viveva a New York come visiting scientist presso la Columbia University, integrando il suo reddito lavorando come "daigou" o agente di shopping online per i consumatori cinesi alla ricerca di prodotti americani. Yang era già stato detenuto in Cina per un breve periodo, nel 2011, perché sospettato di legami con attivisti democratici online.
SENTENZA OLTRAGGIOSA
Human Rights Watch in Asia ha definito la sentenza "oltraggiosa”. "Il pronunciamento arriva dopo anni di detenzione arbitraria e un processo a porte chiuse: è lo specchio di un sistema di giustizia penale corrotto e opaco. Che qualcuno possa essere condannato a morte sulla base di informazioni così scarse è profondamente preoccupante", ha commentato Daniela Gavshon, direttrice australiana di Human Rights Watch. Il ministro degli Esteri australiano Penny Wong, che ha convocato l’ambasciatore cinese, ha detto che l'Australia è "sconvolta" dalla decisione della corte cinese.
Lo scorso ottobre i figli del blogger, che vivono in Australia, hanno scritto al primo ministro Anthony Albanese, alla vigilia della sua visita a Pechino, esortandolo a chiedere il rilascio di Yang per motivi di salute. L'anno scorso è stata diagnosticata allo scrittore una ciste sul rene che necessita di un intervento chirurgico.
Wang Wenbin, portavoce del Ministero degli Affari Esteri cinese, ha assicurato che il processo si è svolto "nel rigoroso rispetto della legge" e ha affermato di aver rispettato i "diritti procedurali" del dottor Yang e i "diritti consolari" dell'Australia.
Deluse le aspettative incoraggiate dalla liberazione lo scorso ottobre, della conduttrice televisiva australiana Cheng Lei, tornata a casa dalla sua famiglia più di tre anni dopo essere stata detenuta con opache accuse di spionaggio. Cheng, ex conduttrice commerciale dell’emittente statale cinese CGTN e madre di due figli, era stata accusata di aver fornito illegalmente segreti di stato all’estero.
RAPPORTI TURBOLENTI
L’arresto di Yang è “caduto” in un periodo di rapporti burrascosi tra Australia e Cina. Poi il lento riavvicinamento delle parti che ha portato alla vista nel novembre dello scorso anno del premier Albanese, la prima visita di un primo leader australiano dal 2016.
Secondo James Laurenceson, direttore dell'Istituto per le relazioni Australia-Cina presso l'Università di Tecnologia di Sydney, la sentenza è destinata a rendere più difficile il disgelo, nonostante la volontà di Pechino di voler andare oltre la stabilizzazione dei legami con l'Australia.
UN SISTEMA OPACO
Come scrive la Cnn, nel 2021 il processo a carico dell’attivista si è svolto a porte chiuse in un tribunale pesantemente sorvegliato di Pechino, al quale è stato negato l’ingresso ai diplomatici australiani. “Il sistema giudiziario cinese è notoriamente opaco – soprattutto nei casi che coinvolgono la sicurezza nazionale”.
Un monstrum, non solo opaco ma dai contorni elefantiaci. I tribunali cinesi hanno perseguito 8,3 milioni di persone nei cinque anni fino al 2022, con un aumento del 12% rispetto al periodo precedente. C'è stato anche un aumento di quasi il 20% nel numero di proteste contro le sentenze dei tribunali. Il tasso di condanna per i processi penali sfiora il 100%. Secondo Amnesty International "la Cina detiene il triste primato di Paese con il più alto di condanne a morte eseguite al mondo, anche se ma la reale portata dell’uso della pena di morte è sconosciuta poiché i dati sono classificati da Pechino come segreto di stato".