Ucraina. Con la sua «guerra totale» lo zar ha già scelto il peggio
Il vile attacco dal cielo a Dnipro è – ammesso che ancora sia possibile compilare una classifica dell’orrore – una delle pagine più buie del conflitto iniziato lo scorso febbraio con l’invasione russa dell’Ucraina. Più che il bilancio delle vittime (almeno 44, ma il conto regolarmente cresce con il passare delle ore) è il metodo che fa piazza pulita di ogni illusione: come a Coventry nel 1940 e a Dresda nel 1945 – tragici primati nel catalogo dei bombardamenti indiscriminati come a Grozny nella seconda guerra cecena, la furia delle armi si abbatte sulla popolazione civile, bersaglio inerme e destinato a propagare odio, terrore, incertezza e desolazione. Del resto, questa è la via imboccata da Vladimir Putin, anche se puntualmente – ribaltare con regolarità i fatti è il suo marchio di fabbrica Mosca nega che il bersaglio fosse quello e accusa la difesa locale di aver deviato il missile. Il risultato non cambia: guerra totale, città spianate, terra bruciata.
Chiamiamola pure “la dottrina Evgenij Prigožin”, dal nome dell’oligarca fondatore e proprietario del gruppo mercenario Wagner, l’uomo che nei giorni scorsi ha raso al suolo Soledar, la piccola cittadina dell’oblast di Donetsk, compiacendosi dell’efficienza dei suoi uomini e criticando pubblicamente lo stato maggiore dell’esercito e i suoi capi, a cominciare da Valerij Gerasimov, teorizzatore della guerra ibrida. Una “dottrina”, la sua, che non ha funzionato, permettendo che invece risaltasse quella di Prigožin, peraltro condivisa da un altro tagliagole, il ceceno Ramzan Kadyrov, teorico dell’annientamento totale del nemico. Ed è verosimilmente con questi due figuri che Putin sta giocando la sua rischiosissima partita. Ridimensionati, criticati e messi sull’attenti (al posto di Gerasimov Putin ha collocato il generale Lapin: un cognome – “coniglio” in francese – su cui molti già ironizzano), i vari Shoigu e Surovikin debbono lasciare il posto a una strategia di lungo termine che sembra preludere a nient’altro che a una seconda poderosa offensiva di terra.
Gli indizi non mancano: la Duma sta per votare l’aumento a 30 anni dell’età della leva obbligatoria e voci insistenti parlano di una prossima mobilitazione di un contingente fra i 300 e i 500mila uomini e la recente visita di Putin a Minsk non lascia escludere la possibilità che Lukashenko sia indotto ben presto a prendere parte al conflitto.
Mentre i soccorritori scavano nelle macerie dal condominio di Dnipro, Putin si congratula con gli uomini della Wagner: « L’operazione militare speciale – dice – sta seguendo una dinamica positiva. Spero che i nostri soldati ci rallegrino ancora con i loro risultati».: Non una parola di pietà per l’inutile eccidio che ogni giorno si consuma in Ucraina, senza dimenticare le migliaia di giovani russi ammassati in tutta fretta al fronte e destinati a non fare ritorno alle proprie case. Dissoltasi rapidamente l’illusoria tregua di Natale, per Putin il proseguimento della guerra ha un duplice scopo. Sull’orizzonte ci sono le elezioni presidenziali del 2024. Sarebbe il quinto mandato per l’uomo del Cremlino, ma Putin intende affrontarle con un’autentica vittoria in tasca. Il plateale insuccesso dell’operazione speciale iniziata undici mesi fa non può bastare. La speranza di una tregua e l’inizio di un negoziato di pace sembrano chimere lontane. L’Ucraina e il suo invasore si preparano di nuovo alla guerra.