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Nigeria - Analisi. Come in Mali: alla fine i Grandi devono «agire»

Fabio Carminati giovedì 8 maggio 2014

Quando quattro leader dei Paesi più influenti decidono di parlare, di «condannare», di inviare «squa­dre per aiutare» le autorità di uno Stato a far fronte a un sequestro di studentesse ormai «globalizzato», significa che si è pas­sato il segno. Vuol dire che Boko Haram non è più una “questione interna” alla Ni­geria: è chiaramente una minaccia che su­pera i confini del ricco gigante africano. Il presidente americano Obama li ha equi­parati alle «peggiori organizzazioni terro­ristiche », Cameron ha inviato le teste di cuoio britanniche, il francese Hollande è pronto ad aiutare e la Cina di Xi farà lo stes­so. La lotta al terrorismo, al qaedismo a­fricano è la motivazione ufficiale. Sotto (in tutti i sensi), molti però ne vedono anche un’altra: il petrolio del principale produt­tore africano.

Come avvenne in Mali – con le formazio­ni qaediste e le minacce a risorse strategi­che  quali l’uranio del vicino Niger – anche ad Abuja è tempo di agire. Almeno “allo scoperto” perché di fatto i responsabili del­l’intelligence da anni hanno compreso che ormai il cuore della minaccia terroristica è africano. Con l’alleanza stretta quasi due anni fa tra i miliziani di al-Qaeda nel Ma­ghreb islamico, Boko Haram e i somali di al-Shabaab, le attenzioni si sono concen­trate in quella fascia che parte dalla costa occidentale a ridosso del Sahara e arriva fi­no al Corno d’Africa. Nelle prossime set­timane – è quindi prevedibile – si assisterà a un’accelerazione dell’azione contro i ter­roristi. Quello che in questi mesi il presi­dente  Goodluck Jonathan non è riuscito a fare nonostante la rimozione di tre co­mandanti  militari. Il sequestro delle tre­cento studentesse, i massacri nel Nord e al confine con il Camerun e le continue a­zioni contro i cristiani, fanno parte di una strategia studiata a tavolino. Così come la recrudescenza, a ridosso del vertice eco­nomico che si è aperto ieri nella capitale blindata, ha lo scopo di dimostre l’insicu­rezza e la vulnerabilità nigeriana.

  Le meritorie dichiarazioni e le azioni con­crete dei Grandi di questi giorni sono for­se anche frutto anche dell’«emozione glo­bale » suscitata dalle immagini delle mam­me vestite di rosso che chiedevano in cor­teo la liberazione delle giovani e condan­navano l’impotenza delle autorità. Una protesta che i social network hanno acce­lerato. Ma quello che sta avvenendo in Ni­geria va al di là del sequestro di queste po­vere ragazze, dell’orribile fine che potreb­bero subire e dei benemeriti interventi in­ternazionali per salvarle. C’è in gioco la si­curezza di un Paese chiave, il controllo del­la nuova locomotiva africana. E, a rischio di apparire cinici, anche delle sue risorse.