Il dopoguerra. Orrore in Colombia: oltre cento gli attivisti assassinati
Manifestazione a Cali: una delle ragioni delle proteste è la strage degli attivisti
Dal primo gennaio, ogni 48 ore, è stato assassinato un leader sociale, ovvero una persona impegnata nel servizio alla comunità, in termini di difesa dei diritti degli abitanti. Una figura fondamentale nella sterminata Colombia rurale, dove lo Stato è pressoché assente. Nell’ultima settimana, il ritmo della strage – giunta alla tragica quota di 101 vittime in meno di sei mesi – ha accelerato. Da domenica, il massacro è stato quotidiano, con l’eccezione di martedì. Mercoledì a Santa Marta, Juana Iris Ramírez Martínez è stata colpita da una raffica di proiettili mentre andava a fare la spesa. La giovane mamma di due bimbi era attiva nel consiglio del sobborgo di periferia dove viveva, a Santa Marta. Il giorno successivo è toccato ad Andrés Córdoba Tamaniza, esponente del popolo indigeno Embera di Totumal, nella zona di Caldas. Con il suo omicidio, la Colombia ha oltrepassato la soglia dei cento attivisti assassinati. Meno di ventiquattro ore dopo, un altro delitto, il 101esimo: José Vianey Gaviria, noto difensore dei contadini del Caquetá, è stato crivellato da una raffica di proiettili a La Montañita.
L’eccidio degli attivisti è la drammatica manifestazione della profonda crisi della nazione. A quasi cinque anni dall’accordo tra il governo e la guerriglia delle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (Farc), il processo di pace si è incagliato a causa delle difficoltà strutturali e della scarsa volontà politica del presidente, Iván Duque. Le istituzioni non sono state in grado di colmare il vuoto lasciato dai guerriglieri, in seguito al disarmo. Ad approfittarne sono stati subito altri gruppi, in particolare i nuovi paramilitari, eredi delle vecchie Autofedensas, formazioni d’ultradestra costituite in versione anti-Farc. Sono loro i principali responsabili del massacro degli attivisti, perpetrato per terrorizzare e asservire la popolazione locale.