L'offensiva. Le mani dei narcos su Città del Messico: due corpi carbonizzati
L'attivista anti-narcos Carlos Cruz
Hanno scaricato i corpi torturati di una donna e di un uomo dall’auto. Li hanno avvolti in una coperta cosparsa di benzina e e hanno dato loro fuoco, proprio di fronte all’entrata dell’ufficio di Cauce Ciudadano, organizzazione impegnata da vent’anni nella difesa dei diritti umani e nel recupero dei minori reclutati dalle gang nonché parte della Rete America Latina alternativa social (Alas) creata da Libera. Il tipico messaggio di intimidazione scritto nel linguaggio macabro dei narcos. Negli ultimi 14 anni di narco-guerra, minacce di questo tipo sono diventate quotidiane nei territori sotto il controllo del crimine organizzato. Mai prima d’ora, però, un episodio simile si era verificato a Città del Messico, non lontano dal Santuario di Guadalupe. Segno che anche la capitale è ormai nella morsa delle grandi mafie.
Le prime avvisaglie risalgono al 2017, quando l’allora neo-cartello di Jalisco Nueva Generación (Cjng) ha cominciato a inviare le proprie avanguardie nella metropoli. Dopo aver esteso i tentacoli nella costa pacifica, a spese dei rivali di Sinaloa, il gruppo ha aumentato la pressione sulla capitale, centro nevralgico della nazione. Nell’inerzia delle autorità e nel caos della pandemia, il gruppo di Jalisco si è rafforzato. Il salto di qualità è, però, recente quando, il 26 giugno scorso, questo ha attentato alla vita del segretario di Sicurezza, Omar García Harfuch, in pieno centro. Da allora è stato un crescendo, con l’irruzione del cartello di Noreste, erede de Los Zetas. Fino all’attacco a Cauce Ciudadano, avvenuto all’alba di domenica. «Vogliono spaventarci ma non ci riusciranno – afferma il direttore, Carlos Cruz –. Anzi vogliamo che questo sia il punto di svolta. Non ci fermeremo finché non ci sarà stata un’indagine completa sugli autori del crimine e sui mandanti nonché dei loro alleati politici ed economici. Sarebbe l’occasione per dimostrare che in Messico può ancora esserci giustizia». Il governo di Andrés Manuel López Obrador, in carica dal 2018, aveva promesso una serie di riforme per arginare la corruzione di cui si nutrono i cartelli. «Finora, però, non ha creato un’intelligence finanziaria e né ha mutato il sistema giudiziario», conclude Cruz.