Natalità. Un salasso crescere i figli. E anche in Cina le culle restano vuote
Un bimbo a Shanghai durante la Festa nazionale cinese
Si è scomodato il presidente Xi Jinping in persona per sollecitare, lo scorso ottobre, il «popolo cinese a coltivare attivamente una nuova cultura del matrimonio e della maternità». Che, in soldoni, risuonava come un appello a sconfiggere la depressione demografica, quel gigantesco arretramento che sta ridisegnando la geografia umana della Cina. E che vede nascere sempre meno bambini: 10 milioni nel 2022, 9,02 milioni lo scorso anno. Il confronto con il passato è impietoso: nel 2012 i neonati erano stati 16 milioni. Le parole di Xi si arenano contro la tendenza catturata dal think tank cinese YuWa Population Research, e che viene additata come una delle principali cause della denatalità che colpisce il gigante asiatico. Assicurare l’istruzione dei figli in Cina costa. Troppo. E arriva a inghiottire, dall’asilo all’università, 680mila yuan (94.500 dollari). Crescere un figlio fino all’età di 18 anni costa circa 6,3 volte il Pil pro-capite contro 2,08 volte il Pil pro-capite in Australia, 2,24 volte in Francia, 4,11 volte negli Stati Uniti e 4,26 volte in Giappone.
Pechino risulta, nella classifica redatta dal think tank, seconda soltanto alla Corea del Sud, Paese nel quale tradizionalmente l’attenzione per l’istruzione dei figli è altissima e dove fioccano, ad esempio, le lezioni extra dopo la fine della giornata scolastica “regolare”.
Il presidente cinese Xi Jinping - ANSA
All’aspetto economico, se ne sommano altri che, come sottolinea con grande nettezza il rapporto, contribuiscono a creare un «ambiente sociale non favorevole alla fertilità delle donne». Che, a sua volta, si riverbera sulla «disponibilità media alla fertilità delle donne cinesi». Nel 2023, come riporta la Reuters, il tasso di fertilità del gigante asiatico è stato pari a 1, uno dei più bassi al mondo. Anche in questo caso la “maglia nera” della denatalità va alla Corea del Sud.
Lo studio riconosce che il gigante asiatico soffre di una disparità di genere molto accentuata. Con le donne fortemente penalizzate. Secondo il think tank, le madri generalmente «subiscono una netta riduzione di ore lavorative quando si prendono cura dei bambini di età compresa tra 0 e 4 anni e fronteggiano una perdita salariale stimata di 63mila yuan (8.700 dollari)». La “ricetta” proposta dal YuWa Population Research passa attraverso la combinazione di una serie di misure: "Dall’erogazione di sussidi a servizi di assistenza all'infanzia più ampi, dalla parità per il congedo di maternità e di paternità alla possibilità di ricorrere e tate straniere, fino a una maggiore flessibilità sui luoghi di lavoro".
I festeggiamenti per il Capodanno cinese a Pechino - ANSA
Basterà ad arginare la caduta? A rianimare un Paese alle prese con il rallentamento della crescita economica, la crisi del settore immobiliare, la disoccupazione giovanile record ma anche con la polverizzazione della famiglia tradizionale indotta da decenni di politica del “figlio unico”? «Non posso permettermi di prendermi cura di nient’altro al di fuori dei miei genitori e del lavoro», è la testimonianza di una giovane donna cinese raccolta dal Wall Street Journal.
I numeri fotografano un andamento non proprio incoraggiante. Nel 2023, per il secondo anno consecutivo, la Cina è “dimagrita”. Il numero di abitanti è sceso di 2,08 milioni (0,15%) a 1,409 miliardi. Il dato è ben al di sopra del calo demografico di 850mila unità registrato nel 2022 – legato soprattutto allo tsunami Covid –, il primo dal 1961, quando la “Grande carestia” travolse il Paese. Altro “sintomo” è la caduta del numero di matrimoni: nel 2022 sono stati 6,8 milioni, una diminuzione del 10,5% rispetto al 2021. Nel 2013 erano quasi il doppio.
«Se l’attuale tasso di fertilità estremamente basso non può essere migliorato, la popolazione cinese diminuirà rapidamente e invecchierà, il che avrà un grave impatto negativo sull’innovazione e sulla forza nazionale complessiva», sentenzia il rapporto.