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DIRITTI UMANI. Pechino contro Oslo: no al Nobel cinese

 Luca Miele mercoledì 29 settembre 2010
Il Nobel per la pace al dissidente Liu Xiaobo, colpevole – per la giustizia cinese – di «istigazione alla sovversione dei poteri dello Stato»? Uno scenario da incubo, che fa fumare di rabbia il Dragone. La Cina fa subito la voce grossa. E spedisce un messaggio – bellicoso – alla Norvegia che dell’assegnazione del Nobel è il “regista”: «Lo considereremmo un atto ostile, che avrebbe conseguenze negative per i rapporti tra la Norvegia e la Cina». A riferirlo è il direttore dell’Istituto norvegese per il Premio Nobel, Geir Lundestad: il monito gli è stato trasmesso la scorsa estate dal vice-ministro degli esteri cinese Fu Ying durante la visita a Oslo. Pechino glissa e dopo che la notizia rimbalza in mezzo mondo, tende ad ammorbidire i toni. Una correzione di rotta resa quasi inevitabile dall’imminente viaggio in Europa del premier Wen Jiabao, che visiterà Italia, Grecia e Belgio, oltre alla Turchia. Nella conferenza stampa di presentazione del viaggio di Wen, il viceministro degli Esteri Fu Ying, non ha né smentito ne confermato di aver detto al direttore dell’Istituto Nobel Geir Lundestad: «Non so perché in questo periodo dell’anno voi giornalisti vi interessate tanto a questo problema – ha detto –. Anche l’anno scorso si parlava di questo, poi il premio è andato ad un leader politico (il presidente americano Barack Obama) con una motivazione che non ha nulla a che vedere con la Cina». In precedenza, la portavoce del ministero degli Esteri Jiang Yu aveva sostenuto che Pechino «non vuole esercitare pressioni» sulla Norvegia. La retromarcia non serve a velare una questione spinosa per la Cina. Sollevare la questione dei diritti umani è una sfida intollerabile per il regime cinese. Da qualunque parte provenga. Il 21 gennaio il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton si pronuncia sulla libertà della Rete. Denuncia il solidificarsi di una preoccupante «cortina» sulla libertà in Internet. La replica di Pechino è immediata – e bellicosa: l’intervento della Clinton è «dannoso» e mette addirittura «a rischio i rapporti fra Stati Uniti e Cina». Analoghe reazioni suscita la visita del Dalai Lama alla Casa Bianca: per Pechino si tratta di «una violazione dell’integrità territoriale». Il nervosismo di Pechino tradisce una certa preoccupazione. Perché se il nome di Liu Xiaobo – uno degli estensori del documento “Carta 08”, che critica aspramente il Partito comunista cinese e si batte per la democrazia – spunta puntualmente quando si deve indicare i favoriti, quest’anno le voci a suo favore si stanno facendo sempre più pressanti. Un coro. Prima è arrivata la “designazione” dell’ex presidente dissidente ceco Vaclav Havel. Poi è stata la volta di Pen Club, l’associazione internazionale per i diritti umani che ha presentato “ufficialmente” la candidatura di Liu Xiaobo, sottoscritta da noti autori come Philip Roth e Salman Rushdie. E, peggio ancora, la candidatura del dissidente al Nobel che sarà assegnato l’otto ottobre è stata appoggiata da un gruppo di oltre centoventi intellettuali cinesi che hanno redatto una lettera aperta pubblicata su Boxun, uno dei siti d’informazione sulla Cina più seguiti all’estero. Liu Xiaobo sconta una condannata a undici anni di prigione. Joshua Rosenzweig di Dui Hua (“Dialogo”, gruppo umanitario che si occupa dei detenuti cinesi) ha affermato che la condanna inflitta a Liu è la più pesante a essere stata emessa per «istigazione alla sovversione dei poteri dello Stato» dopo la riforma della legge sulla criminalità del 1997. Rosenzweig ha ricordato anche la pesante condanna inflitta nel 2005 a Shi Tao, un giornalista che sta scontando dieci anni di carcere per aver diffuso su Internet una circolare di censura inviata ai giornali cinesi dal Dipartimento per la Propaganda del Partito Comunista. Nonostante le pressioni internazionali, la Cina non sembra modificare la sua politica. Anzi intensifica il pugno di ferro. Uno degli ultimi a cadere negli ingranaggi della giustizia cinese è stato Liu Xianbin, uno dei protagonisti del movimento di piazza Tienanmen, arrestato a giugno. Stessa sorte per Hu Jia, attivista per i diritti dei malati di Aids ed autore di uno dei blog più seguiti della Cina, che ha avuto una condanna a tre anni e mezzo per «tentativo di sovversione», lo stesso reato del quale è accusato Liu Xianbin. Secondo i gruppi tibetani in esilio, la repressione è particolarmente pesante per gli intellettuali tibetani. Karma Samdrup è uno dei tanti: stato condannato a 15 anni di reclusione.