Cina. Le Due Sessioni aprono agli Usa: vogliamo relazioni stabili
La cerimonia di apertura delle "Due sessioni" a Pechino
Il primo strappo si è già consumato. Niente ribalta per il premier Li Qiang. La tradizionale conferenza stampa di chiusura delle “Due sessioni” (“Lianghui”) – le sedute plenarie della Conferenza politica consultiva del popolo cinese (iniziata ieri) e del Congresso nazionale del popolo (che parte oggi) – non ci sarà. L’evento pubblico più importante della complessa architettura della politica cinese - in particolare il Congresso nazionale del popolo è l’organo legislativo unicamerale della Cina e teoricamente l’organo supremo del potere statale, sottoposto al controllo del Partito comunista cinese - non si affiderà alle conclusioni del premier, troncando una consuetudine iniziata da Li Peng nel 1991 e formalizzata da Zhu Rongji nel 1998. Perché? Qual è la causa che ha portato alla rimozione del “sigillo” dell’evento che, peraltro, si apre sotto auspici non proprio incoraggianti, tra la crescita che rallenta, la crisi del mercato immobiliare e le tensioni internazionali in decisa ascesa? La mossa risponde a un disegno politico, insinua la Cnn: quello di offuscare sempre più il ruolo del premier e del Consiglio di Stato. «Vogliono solo una voce, quella del Partito comunista cinese. Non vogliono altre voci che diluiscano quella del partito, controllato da Xi» al potere dal 2012, al suo terzo mandato da leader in un Paese con una popolazione di 1,4 miliardi di persone, ha detto Alfred Wu Lee Kuan Yew School of Public Policy della National University di Singapore. E secondo il sito di analisi Asia Society, Pechino «userà molto probabilmente le “Due sessioni” per annunciare misure tattiche volte a rafforzare la fiducia sul breve periodo nell’economia cinese ma senza cambiare la strategia di fondo di Xi, lo sviluppo guidato dallo Stato».
Le “Due sessioni” si sono aperte con le dichiarazioni di Lou Qinjian, portavoce del Congresso nazionale del popolo. Ottimistiche. Incentrate sull’economia – Pechino crede «nel rimbalzo dell’economia» – e sulla politica internazionale, con tanto di messaggio distensivo inviato agli Stati Uniti: la Cina punta a migliorare le relazioni («stabili, solide e sostenibili»), a prescindere da chi sarà il prossimo presidente americano.
Atteso anche il dato relativo al budget della spesa militare per il 2024 che resterà "su livelli ragionevoli e stabili, in linea con lo sviluppo sociale e le necessità di difesa". "Rispetto al Pil – ha detto il portavoce del Congresso nazionale del popolo - sarà una percentuale inferiore a quella di altri Paesi. Manterremo la spesa bassa". Nel 2023, il budget militare di Pechino era aumentato del 7,2% contro il 7,1% del 2022, pari a 1.560 miliardi di yen contro 1.450 miliardi di yuan. Il dato del 2022 e quello del 2023 erano sostanzialmente stabili se espressi in dollari - circa 230 miliardi -, a causa dell'effetto cambio, ma con il trend di spesa in crescita, considerando che nel 2021 si era attestato a +6,8%.
Il presidente cinese Xi Jinping (nella fila di mezzo a sinistra) con il premier Li Qiang - REUTERS
Le affermazioni di prammatica coprono le convulsioni che agitano la complessa macchina del potere cinese. Una sorta di test per “misurare” la presa di Xi sul Partito. Il Congresso nazionale del popolo approva tutto ciò su cui è chiamato a esprimersi, ma il voto segreto garantisce una piccola dose di “libertà” e i margini di approvazione funzionano da termometro della popolarità delle decisioni di Xi.
L’anno scorso il presidente cinese completò il suo personale trionfo, piazzando una lista di fedelissimi in tutte le posizioni di vertice. Restano però delle caselle vuote. Con le relative incertezze. Qin Gang è stato rimosso dalla carica di ministro degli Esteri e “cancellato” dal Consiglio di Stato: al suo posto, secondo speculazioni, potrebbe subentrare Liu Jianchao. A sua volta Dong Jun, che ha sostituito Li Shangfu come ministro della Difesa, potrebbe entrare, assieme a Qin, nel potente organo del potere cinese.
Lo scorso anno il presidente cinese disse che «la chiave per riuscire a trasformarci in una potenza socialista moderna è l’autosufficienza tecnologica e l’auto-miglioramento». Quest’anno l’accento verrà messo «sulle nuove forze produttive» che consentiranno alla Cina di reggere la sfida con gli Usa. Sul tavolo anche la possibile rimozione dei limiti ancora in vigore sulla natalità. Perché, almeno sul fronte delle nascite, la Cina non ruggisce più.