Asia. Cina, il gigante che non cresce più: ancora giù la popolazione nel 2023
In Cina precipitano ancora le nascite
Crescita debole, disoccupazione giovanile alle stelle. E, per il secondo anno consecutivo, la curva demografica declina. La Cina arranca. Perde popolazione. I dati arrivano dall’Ufficio nazionale statistico. E catturano una tendenza che la leadership del presidente cinese Xi Jinping – dopo il precipitoso abbandono nel 2015 della politica del figlio unico, lo spietato esperimento di ingegneria sociale con il quale Pechino ha contenuto per 40 anni la crescita della popolazione - non sembra in grado di invertire. Il numero totale di persone in Cina è sceso di 2,08 milioni (0,15%) a 1,409 miliardi nel 2023. Il dato è ben al di sopra del calo demografico di 850mila unità registrato nel 2022 – legato allo tsunami Covid -, il primo dal 1961, quando la “Grande carestia” si abbattette sul Paese. Le nuove nascite sono diminuite del 5,7% a 9,02 milioni e il tasso di natalità ha toccato il minimo record di 6,39 nascite ogni 1.000 persone, in calo rispetto a un tasso di 6,77 nascite nel 2022.
Ma non basta: i decessi, lo scorso anno, sono aumentati del 6,6% a 11,1 milioni, con il tasso di mortalità che ha raggiunto il livello più alto dal 1974, nell’ “era” della Rivoluzione Culturale.
Come scrive la Reuters, il 2023 è stato, insomma, un anno nero per la Cina: “Nel Paese si è ulteriormente indebolita la voglia di fare figli, la disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli record, i salari di molti impiegati sono diminuiti e la crisi nel settore immobiliare, dove sono parcheggiati più di due terzi della ricchezza delle famiglie, si è acuita”. Le previsioni non sembrano peraltro lasciare spazio alla speranza di una inversione dell’andamento demografico. Secondo stime delle Nazioni Unite, la popolazione cinese diminuirà di 109 milioni entro il 2050, un calo tre volte più grande di quanto previsto nel 2019. La prima conseguenza è l’invecchiamento, sempre più veloce. La popolazione cinese di età pari o superiore a 60 anni ha raggiunto quota 296,97 milioni nel 2023, circa il 21,1% della sua popolazione totale. Nel 2022 era di 280,04 milioni. A rischio la tenuta del sistema pensionistico. Si prevede che la popolazione in età pensionabile del Paese aumenterà fino a oltre 400 milioni entro il 2035 – più dell’intera popolazione degli Stati Uniti – dai circa 280 milioni di persone attuali.
Il presidente cinese Xi Jinping - ANSA
L’economia in affanno
Anche i dati che arrivano dal fronte economico non sono esaltanti. Nel 2023 la Cina ha registrato la crescita più debole degli ultimi trent'anni - escluso il periodo pandemico - in un momento in cui la crisi immobiliare e l'incertezza stanno minando la ripresa della seconda economia mondiale.
Il gigante asiatico, penalizzato da tre anni di restrizioni sanitarie revocate a fine 2022, ha iniziato una timida ripresa dell'economia all'inizio dello scorso anno. Ma la spinta si è esaurita e sta incontrando una serie di ostacoli, tra cui la scarsa fiducia dei consumatori e delle imprese, che sta penalizzando i consumi. Le turbolenze geopolitiche hanno poi messo in fuga i capitali stranieri. Una crisi immobiliare senza precedenti, la disoccupazione giovanile record e il rallentamento dell'economia globale stanno inoltre paralizzando i tradizionali motori della crescita cinese. In questo contesto, il prodotto interno lordo del Dragone crescerà comunque del 5,2% annuo nel 2023, come annunciato dall'Ufficio nazionale di statistica Nbs. Un ritmo che farebbe invidia alla maggior parte delle grandi economie ma che è comunque il più lento per la Cina dal 1990 (3,9%), escludendo il periodo Covid.
Il Paese ha poi registrato a dicembre una disoccupazione giovanile al 14,9%, al netto della componente studentesca: è la nuova definizione presa in considerazione dall'Ufficio nazionale di statistica, che aveva sospeso la diffusione del dato dopo il picco storico del 21,3% registrato a giugno. “Il tasso di disoccupazione rilevato nella popolazione di età compresa tra i 16-24 anni, i 25-29 anni e i 30-59 anni (al netto degli studenti) è stata misurata, rispettivamente, al 14,9%, al 6,1% e al 3,9%", ha riferito l'Ufficio. Il dato, secondo gli analisti, potrebbe essere in realtà sottostimato.