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Tecnologia. In Cina l'intelligenza artificiale fa «rivivere» i defunti

Luca Miele venerdì 14 giugno 2024

Gli avatar dei cari scomparsi creati grazie all'intelligenza artificiale

A marzo Tang Xiao’ou, fondatore di SenseTime, star up cinese di intelligenza artificiale che nel 2018 ha conquistato il primato di azienda del settore più ricca al mondo (4,5 miliardi di dollari), ha tenuto dinanzi a dipendenti e soci un discorso corroborante. «Ciao a tutti, ci incontriamo di nuovo - ha detto Tang -. L’anno scorso è stato un anno duro per tutti, ma credo che il periodo difficile stia per essere superato». Peccato che Tang, 55 anni, fosse morto l’anno prima e che ad arringare i dipendenti in realtà era un clone digitale, addestrato dagli ingegneri di SenseTime. Non si tratta certo di un’occorrenza solitaria. La richiesta di avatar, di repliche digitali dei defunti, si sta espandendo a ritmi vertiginosi in Cina.

Ne è nato un vero e proprio mercato dei “robot del dolore” - programmi basati sull’intelligenza artificiale che imparano a imitare gli esseri umani - che sta costruendo un impensabile “al di là” digitale. La dimensione del mercato per gli “esseri umani digitali” valeva 12 miliardi di yuan nel 2022, e si prevede che quadruplicherà entro il 2025.
Come scrive il sito di analisi Rest of world, «“resuscitare” i morti è diventata un’applicazione popolare dell’intelligenza artificiale in Cina. È uno degli elementi della corsa all’oro dell’intelligenza artificiale nel gigante asiatico, con gli imprenditori che si affrettano a inventare nuove app rivolte ai consumatori oltre a modelli linguistici di grandi dimensioni come ChatGPT».
Con una spesa che oscilla tra i 5.000 (700 dollari) e i 10.000 yuan si accede a servizi noti anche come “bot fantasma”. Il fondatore di Super Brain, Zhang Zewei, ha assicurato che oggi la tecnologia è in grado «di creare avatar in grado di imitare i modelli di pensiero e di linguaggio del defunto».

Come funziona? I parenti del defunto forniscono materiale, come foto, video e registrazioni audio. «Più materiali abbiamo, migliore sarà l’effetto della clonazione», ha spiegato Zhang. L’Intelligenza artificiale “ricrea” il defunto, restituendogli non solo un viso e una voce ma anche dei “pensieri”. Le storie delle persone, devastante dal dolore della perdita, che ricorrono all’Intelligenza artificiale sono numerose e - muovendo sul crinale scivoloso del lutto e della dimensione “risarcitoria” inedita garantita dalla nuova tecnologia - attirano inevitabilmente l’attenzione dei social cinesi. Una di queste è la storia di un uomo, chiamato Wu, un “cliente” di Zhang che ha perso il figlio ventiduenne, morto di ictus mentre studiava nel Regno Unito nel 2022. Wu, con la moglie, ha “comprato” un avatar in grado di replicare l'immagine e la voce del figlio scomparso. «Addio, miei cari genitori. Spero di poterti accompagnare tutto il tempo e darvi calore e amore», ha detto la voce robotica del ragazzo. «La morte non è la fine dell’amore. Riuniamoci nel metaverso», gli ha risposto il padre.

Come leggere questo fenomeno complesso, refrattario a essere incasellato dentro una sola chiave di lettura? Siamo davanti a un’allucinazione collettiva, a una forma di rapacità che sfrutta il dolore più terribile, a una rimodulazione delle forme del lutto consentita dalle nuove tecnologie? Rest of World offre anche un’altra interpretazione. «Con il governo cinese che mantiene uno stretto controllo su religione e spiritualità, gli avatar AI offrono, a coloro che hanno perso i propri cari, un modo nuovo per connettersi con i defunti». Per Ting Guo, professore di studi culturali e religiosi presso l’Università cinese di Hong Kong, «il controllo della Cina sulla religione ha lasciato ai cittadini opzioni limitate per esplorare insieme l’aldilà come comunità». C’è chi sostiene che tali contenuti dovrebbero essere vietati perché dannosi: anziché favorirne il processo rischiano di “congelare” il lutto, eternizzandolo: «La strana somiglianza dei robot fantasma con una persona cara scomparsa potrebbe non essere così positiva come sembra. Il rischio è che si crei una dipendenza emotiva potenzialmente dannosa mediata dalla tecnologia».