Con un incontro tra due leader
considerati super-nazionalisti come il presidente Xi Jinping e
il premier Shinzo Abe, Cina e Giappone hanno fatto un primo
passo verso la ripresa del dialogo dopo due anni di gelo
diplomatico. Che il cammino sia lungo e irto di ostacoli lo
testimonia meglio di tutto la foto ufficiale diffusa dopo l'incontro, che è durato poco meno di mezz'ora e si è svolto nella
Grande Sala del Popolo su piazza Tiananmen, nel centro di
Pechino.Nessun sorriso di circostanza. Al contrario, i due leader
appaiono tutt'altro che allegri e si stringono la mano tenendo
gli occhi bassi, invece di puntarli sugli obiettivi di fotografi
e cameraman. Sulla decisione di tenere l'incontro ha pesato
certamente il fatto che Pechino ospita in questi il vertice
dell'Apec, l'associazione dei Paesi dell'Asia-Pacifico.L'agenzia ufficiale Nuova Cina, nei numerosi dispacci dedicati
al colloquio, sottolinea che esso è avvenuto "su richiesta della
parte giapponese".
Xi, riferiscono i media cinesi, ha invitato il Giappone ad
essere "prudente nelle sue politiche militari e di sicurezza".
"Speriamo - ha aggiunto il presidente cinese - che il Giappone
possa continuare a muoversi sula strada di uno sviluppo
pacifico" in modo da "giocare un ruolo costruttivo per la pace e
la stabilità regionali". Abe ha dichiarato di aver "condiviso"
con il suo ospite cinese, l'impegno a contenere la tensione nel
mar della Cina orientale, dove si trovano le Senkaku-Diaoyu, le
isolette disabitate controllate da Tokyo ma rivendicate da
Pechino che sono alla base della crisi diplomatica. Il premier
ha inoltre proposto di creare un meccanismo di comunicazione
marittima che permetta di ridurre la tensione tra i due Paesi.Ora alle belle parole dovranno seguire i fatti. Il documento
comune elaborato dalle due diplomazie che ha permesso questo
vertice - il primo tra Cina e Giappone dopo due anni e mezzo di
polemiche - non chiarisce i punti più delicati. Tokyo ha per la
prima volta accettato l' esistenza della rivendicazione cinese
sulle isole, dando soddisfazione alla prima richiesta di
Pechino. Ma l'ha fatto implicitamente, dato che il documento si
limita ad affermare che sulla questione esistono "diversi punti
di vista". L' altra condizione di Pechino - che Abe rinunci a
visitare il controverso santuario scintoista di Yasukuni, nel
quale insieme agli altri giapponesi caduti in guerra si onorano
anche alcuni criminali di guerra responsabili di massacri in
Cina e in altri paesi asiatici - non viene menzionata nel
documento.La crisi sulle Senkaku, che i cinesi chiamano Diaoyu,
è iniziata poco prima che a Pechino salisse al potere Xi
Jinping, quando il governo di Tokyo le ha "comprate" da una
famiglia giapponese che affermava di esserne la proprietaria.
Pechino ha interpretato questa decisione come un indice della
volontà del Giappone di "nazionalizzarle", sottraendole a
qualsiasi rivendicazione alternativa. Le visite di Abe e di
altri membri del suo governo a Yasukuni non hanno fatto che
peggiorare la situazione.
L' offensiva di Pechino sulle Senkaku/Diaoyu ha coinciso con
un indurimento generale della sua posizione verso le frontiere
marittime. Oltre che col Giappone, la Cina ha in corso dispute
territoriali con il Vietnam e le Filippine.