Corsi di rieducazione, obbligatori per i sacerdoti, i religiosi e le religiose della diocesi di Shanghai. Un’iniziativa pesante, un’ingerenza che richiama i tempi più bui della persecuzione di cui sono stati vittima i cattolici nel gigante asiatico. Un “colpo” assestato dalle autorità cinesi a chi nella Chiesa locale esprime, ancora una volta, una posizione critica nei confronti della politica religiosa ufficiale e vuole sfuggire al controllo ideologico imposto ancora sulle attività di pastori e fedeli. Pechino vuole punire in questo modo al moto di “ribellione” alla Chiesa Patriottica cinese espresso dal vescovo ausiliare Thaddeus Ma Daqin che a luglio, nel giorno della sua ordinazione, annunciò le dimissioni dalla chiesa del governo di Pechino e, quindi, la sua vicinanza al Papa e da allora è in “ritiro” nel seminario di Sheshan. Molti esponenti del clero e dei religiosi diocesani sono stati costretti a un corso di «riabilitazione» fatto di lezioni e test il cui superamento – è stato loro detto – potrebbe essere determinante per un futuro ruolo nella Chiesa locale e per eventuali avanzamenti nella gerarchia ecclesiastica. Dal 10 settembre alla settimana scorsa, almeno 80 preti e 80 suore della diocesi, divisi in tre gruppi, hanno dovuto frequentare corsi di tre giorni presso l’Istituto per il Socialismo di Shanghai. Qui, quotidianamente, per 12 ore, docenti universitari hanno ribadito loro la visione ufficiale dei rapporti tra Stato e religione, ripetuto come il Partito comunista vede il fenomeno religioso, spiegato la politica e le leggi dello Stato, le normative in tema religioso, i valori del sistema socialista e le caratteristiche dello sviluppo economico cinese. Una serie di dati e di nozioni utili, secondo gli ideatori, a rafforzare il senso del dovere dei leader cattolici e a ribadire il principio di una Chiesa autonoma, dalle caratteristiche cinesi. Una iniziativa che diverse fonti locali hanno commentato come un vero e proprio “lavaggio del cervello”, un tentativo di spegnere un focolaio di tensioni tra parte della Chiesa locale e le autorità civili. Ma anche il tentativo di sedare i timori di Pechino, sospettosa verso una comunità di battezzati anche in parte dissenziente nel cuore economico e finanziario del Paese.«Pensavo che i funzionari governativi, durante il corso, avrebbero criticato apertamente la posizione espressa all’ordinazione episcopale (da monsignor Ma), ma non è andata così – ha detto un sacerdote locale la cui testimonianza anonima è stata raccolta dall’agenzia cattolica asiatica
Ucan –. Si capiva tuttavia che le cosiddette “sessioni di studio” servivano a contrastare l’iniziativa del vescovo». Alle lezioni erano presenti anche funzionari addetti alla gestione degli affari religiosi a livello di città e di distretto in cui operano i sacerdoti e le suore che hanno partecipato all’iniziativa. «Non sappiamo – ha concluso la sua testimonianza anonima il sacerdote – se ci saranno delle ricadute dai corsi, ma finora, ad una settimana dalla fine delle lezioni, non è successo nulla».