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Lo scontro. Cina, arrestato ex diplomatico con passaporto australiano: «È una spia»

Luca Miele giovedì 24 gennaio 2019

Il ministro degli Esteri australiano Marise Payne (Ansa)

Difficile non pensare a una "guerra" di spie combattuta ormai su scala planetaria. A colpi di arresti. L'ultimo arriva dalla Cina. Pechino hanno deciso di trattenere agli arresti domiciliari ("residential detention”) Yang Hengjun, scrittore, blogger ed ex diplomatico cinese in possesso di un passaporto australiano dal 2000, con le accuse di aver attentato “alla sicurezza statale". Lo ha annunciato la portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, precisando che Pechino ha «ufficialmente informato» l'Australia sul fatto che Yang sia stato sottoposto a misura «coercitiva». I suoi diritti e interessi sono «tutelati» nel rispetto delle leggi, ha aggiunto Hua in conferenza stampa. Ben diverso l’umore che si respira a Canberra. Che non ha velato il suo disappunto. Il ministro della Difesa Christopher Pyne ha detto che l'Australia, secondo le convenzioni diplomatiche esistenti, normalmente si aspetterebbe di essere informata di un caso del genere entro tre giorni. Cosa che invece non sarebbe avvenuta. «Yang è scomparso venerdì e Canberra non è stato informato fino a quattro giorni dopo», ha fatto sapere il ministro. A sua volta, la ministra degli Esteri, Marise Payne ha fatto sapere di aver convocato i funzionari dell'ambasciata cinese. Lo scrittore, 53 anni, era volato nella città meridionale di Guangzhou da New York la scorsa settimana prima di “sparire”.

Stessa sorte è toccata sei settimana fa a due canadesi, l’ex diplomatico Michael Kovrig e l’uomo d’affari Michael Spavor, arrestati in Cina con l'accusa di mettere in pericolo la sicurezza dello Stato. Per loro sono scesi in campo 143 tra accademici e diplomatici, chiedendone la liberazione in una lettera aperta indirizzata al presidente cinese Xi Jinping, Secondo i firmatari, l’arresto dei due canadesi rischia di produrre “meno dialogo e maggiore sfiducia”, minando gli sforzi per “affrontare disaccordi e trovare basi comuni”. Per molti analisti, la mossa di Pechino sarebbe stata una rappresaglia per l'arresto di Meng Wanzhou, dirigente senior di Huawei Technologies, avvenuto in Canada il 1 dicembre scorso. La figlia del fondatore del colosso delle telecomunicazioni cinese, seconda al mondo per la produzione di smartphone, è accusata di aver violato le sanzioni statunitensi sull'Iran.

Si incendia anche un altro fronte. Pechino ha bloccato il motore di ricerca Bing, al quale non si può accedere nel Paese senza l'utilizzo di un Vpn (Virtual Private Network), che permette di aggirare l'oscuramento del web operato dal Great Firewall. In serata poi è stato riattivato, dopo mezza giornata di stopA comunicare il blocco del motore di ricerca è stata la stessa Microsoft, che lo gestisce. "Abbiamo confermato che Bing non è attualmente accessibile in Cina e siamo impegnati a determinare i passi successivi". Secondo due fonti citate dal Financial Times, il blocco del motore di ricerca è dovuto a una decisione del governo cinese, confermata dal gruppo di telecomunicazione China Unicom a una di loro. Con il blocco di Bing, Microsoft entra nell'elenco delle grandi compagnie statunitensi di internet bloccate in Cina, dopo Facebook, Twitter, e la piattaforma di messaggistica Whatsapp, gestita dal gruppo di Mark Zuckerberg, bloccata nel 2017. Google era stato bloccato, invece, nel 2010. Il mese scorso, il Ceo del gruppo, Sundar Pichai, ha dichiarato di non avere piani al momento di un rilancio in Cina del motore di ricerca, pur continuando a valutare opzioni a riguardo. La Cyberspace Administration of China, l'ente a vigilanza di internet in Cina, aveva comunicato ieri l'eliminazione di sette milioni di informazioni dal web cinese e di oltre novemila app.