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Fake news. Cile, il dramma della Mimo e la bufala sui social

Lucia Capuzzi martedì 26 novembre 2019

Daniela Carrasco, in arte "La Mima", trovata impiccata a Santiago. L'artista avrebbe anche lasciato un biglietto per spiegare le ragioni del suicidio

«Sono state realizzate con il maggior scrupolo possibile tutte le indagini e queste portano a scartare la partecipazione di un terzo in questa triste vicenda». La morte di Daniela Carrasco, in arte “La Mimo”, avvenuta tra il 19 e il 20 ottobre scorso, all'inizio della protesta che ha scosso il Cile, sarebbe, dunque, un suicidio, come rilevato dall'autopsia. I medici forensi non hanno trovato, al momento, segni di tortura né di stupro sulla 36enne. Non solo: quest’ultima avrebbe anche lasciato un biglietto ai parenti per spiegare le ragioni del suo atto disperato. A sostenerlo non è un’istituzione legata in qualche modo all’apparato governativo e, pertanto, tacciabile di parzialità. Bensì l’associazione delle avvocate femministe cilene, meglio nota come Abofem, che ha assunto gratuitamente la rappresentanza legale della famiglia dell’artista deceduta.

Per rispetto a quest’ultima, l’organizzazione ha rivolto, via Twitter, un accorato appello a cittadini e media: a «elevare gli standard etici e professionali di lavoro per non ferire la memoria di Daniela e dei suoi cari e non screditare il movimento sociale con notizie false, prese da fonti non verificate». Un gesto irrituale: Abofem non è solita dare informazioni sui casi che si trova a seguire. Se l’associazione è dovuta ricorrere a un doveroso strappo alla regola è solo per arginare un corto circuito informativo innescato dalle reti sociali. Tutto è cominciato la settimana scorsa quando qualcuno ha filmato con un cellulare la protesta di un gruppo di donne nel quartiere Pedro Aguirre Cerda di Santiago, il luogo dove è stato trovato il corpo impiccato di “La Mimo”. Alcuni partecipanti, in quell’occasione, sostenevano di aver visto Daniela Carrasco, il giorno prima, lasciare una marcia in compagnia di due Carabineros, corpo quest’ultimo accusato della repressione dura delle rivolte. Da qui la “teoria” che l’artista fosse stata arrestata, violentata, uccisa, perfino esibita dalle forze di sicurezza che poi avrebbero simulato un suicidio.

In realtà, le affermazioni delle manifestanti erano generiche e mescolate ad altri reclami nei confronti delle autorità. Condivisione dopo condivisione, però, il video è diventato la «vera storia dell’omicidio di Daniela». Il fatto si sarebbe esaurito nel giro di qualche click come spesso accade ai moti di indignazione virtuale del pubblico della rete. Alcuni media italiani – poco o nulla, invece, è uscito sui quotidiani cileni –, però, hanno voluto rilanciare la notizia. O, meglio, la sua versione social, senza ulteriori verifiche. Così Daniela Carrasco si è tramutata nell’emblema della violenza sulle donne, alla vigilia della Giornata mondiale dedicata a tale piaga. Un dramma sì questo reale. In Italia, in Europa e in Cile. Paese quest’ultimo dove l’Istituto nazionale per i diritti umani ha documentato «gravi e numerose violazioni» sui dimostranti e sulle dimostranti da parte dei Carabineros. Nella lista di casi, però, non si può annoverare la Mimo. Almeno fino a quando le indagini, ancora in corso, non saranno concluse definitivamente.

Come pure è prematuro saltare a conclusioni affrettate sulla morte di Albertina Martínez Burgos, fotografa freelance che ha raccontato le proteste, il cui corpo senza vita è stato trovato, giovedì scorso, nel suo appartamento di Santiago. La procura ha aperto un’inchiesta ma ancora non vi sono dettagli, al di là dei “rumors” dei social. Le vicende Carrasco e Burgos, in ogni caso, costituiscono anche un monito sulla difficoltà di interpretare i fatti latinoamericani e cileni, in particolare, in base a cliché presenti e passati. Nel Paese la tensione resta alta. L’accordo sulla convocazione di un Consiglio costituente per modificare la Carta fondamentale, l’anno prossimo, ha aperto uno spiraglio.