Presidenziali. Cile, sinistra radicale contro ultradestra. È battaglia per il centro
Un soldato vigila un seggio a Santiago in vista dell'apertura di domani per il ballottaggio
La chiave è il centro. Quel 46 per cento di elettori che, al primo turno si è espresso per gli altri cinque partecipanti in lizza. Per questo, dalla vittoria del 21 novembre, José Antonio Kast e Gabriel Boric hanno iniziato a moderare i toni in vista del ballottaggio di domani. Il leader dell’ultra-destra, passato con il 28 per cento, si è progressivamente allontanato dall’ombra ingombrante della dittatura. Eliminati i commenti benevoli su Augusto Pinochet – per la cui conferma al potere si pronunciò allo storico referendum del 1988 – e condannate «con fermezza» le violenze del regime, Kast cerca di presentarsi come il "candidato dell’ordine", deciso a restituire al Cile il ruolo di esempio nel Continente perso in seguito alle proteste del 2019.
Il candidato di ultra-destra, Antonio Kast, 55 anni - Reuters
A chi gli ricorda le analogie con Donald Trump e Jair Bolsonaro, risponde di ispirarsi, invece, a Ronald Reagan. Certo, a qualcuna delle proposte più polemiche non ha rinunciato, come il muro al nord per frenare la migrazione. Come pure è dichiarata l’affiliazione al partito ultra-conservatore e populista spagnolo Vox. «Ma non sono fascista», ribadisce. Da parte sua, Boric – arrivato secondo con il 26 per cento – ha preso le distanze dalla sinistra radicale. Le critiche virulente al modello della Transizione post-Pinochet sono state sostituite da più moderate affermazioni sulla necessità di realizzare cambiamenti. Questi prevedono un ampliamento del Welfare abbinato, però, a un rigoroso equilibrio fiscale.
L'ex leader del movimento studentesco, Gabriel Boric, 35 anni - Reuters
Le «riforme», insomma, hanno preso il posto della «rivoluzione» nei suoi discorsi. Mutamenti cosmetici o trasformazione della strategia? Più che altro per entrambi si tratta di una scelta obbligata non solo per aggiudicarsi La Moneda ma anche per poter governare con un Congresso e un Senato in cui le forze rivali sono in sostanziale parità dopo il rinnovo del 21 novembre. La corsa al centro ha consentito una ricomposizione, almeno temporanea, dei due grandi schieramenti che hanno caratterizzato negli ultimi tre decenni la democrazia cilena. La destra moderata, incluso il liberale Sebastián Sichel, erede dell’attuale presidente Sebastián Piñera, si sono riuniti intorno a Kast. Socialisti e democristiani appoggiano «senza condizioni» Boric. Quest’ultimo appare in lieve vantaggio sul rivale, in controtendenza con la tradizione cilena di confermare al ballottaggio il più votato al primo turno. Non è facile, però, fare previsioni. Il fattore astensione – a oltre il 50 per cento a novembre – sarà rilevante.
La vera sfida, poi, per chiunque vinca, comincerà a marzo, con l’entrata in carica. Il nuovo presidente dovrà cimentarsi in quella che il sociologo Juan Pablo Luna ha definito la vera conquista del centro. Quest’ultimo non sta nel mezzo, in posizione equidistante tra sinistra e destra, bensì in basso. Là, in prossimità della base della piramide sociale, si trova la maggioranza marginalizzata e delusa dalla politica. Da là, dunque, si deve partire per cercare punti di incontro per curare la crescente polarizzazione.