Filippine. A Manila la chiesa costruita dai poveri ha cancellato la discarica
Una discarica a Manila
«È stata costruita col concorso di tutto il popolo, come si erigevano le chiese anche nei nostri paesi, in epoca medievale. Ognuno ha dato il suo contributo: qualche ora di lavoro, qualche monetina»: lo riferisce padre Carlo Bittante che, oggi preposito generale dei Canossiani, da parroco ha seguito la formazione del nuovo centro parrocchiale di San Paolo Apostolo nel quartiere di Tondo a Manila, capitale delle Filippine. E della sua chiesa che, già inaugurata nel 2018, si sta completando in questi mesi. Il nome di Tondo probabilmente a un europeo non dice nulla ma, specifica padre Carlo «significava povertà fisica e morale, violenza, sporcizia, smog, tubercolosi». Perché quel quartiere sta accanto a Smokey Mountain ("montagna fumante, ndr), l’enorme discarica ritratta in innumerevoli fotografie in cui compaiono ragazzini che rovistano tra i rifiuti. E nella sua baraccopoli vivono centinaia di famiglie traendo sostentamento proprio dalla montagna di rifiuti.
La chiesa di San Paolo Apostolo a Tondo (Manila) - Foto Jar Congengco, per genile concessione di Danilo Lisi
Come ricorda Danilo Lisi, l’architetto italiano che ha fornito il progetto della nuova chiesa, «gli scavengers scavavano con lunghi uncini di ferro e riempivano sacchi con bottiglie vuote, pezzi di metallo e plastica da rivendere ai compratori appostati all’ingresso della discarica». Quando hanno chiuso Smokey Mountain, una ventina di anni fa, è subito sorta un’altra discarica vicina; poi anche questa è stata chiusa e oggi i rifiuti vengono accumulati su chiatte galleggianti: i ragazzini allora si assiepano attorno ai camion della spazzatura da cui continuano a ricavare quanto serve al loro commercio. Ma nel frattempo molto è cambiato, grazie alla presenza della parrocchia. Anzitutto il terreno, che era spesso allagato essendo troppo basso sul mare, è stato sopraelevato: «Quando nel 2007 l’Arcidiocesi di Manila ha ricevuto in dono un’area ex industriale di 12 mila metri quadrati – ricorda padre Carlo – ci siamo messi al lavoro per rialzarne il livello di 3 metri, con terra di riporto. Nel 2009 abbiamo dato vita al Centro sociale per la formazione dei giovani, per attirare i ragazzi lontano dalla strada e dare a tutti un luogo in cui riunirsi».
Così la parrocchia ha cominciato a "funzionare". Ma le Messe erano celebrate in una chiesetta a sua volta spesso sommersa e i parrocchiani hanno chiesto che se ne costruisse una nuova su quel terreno più sicuro. «Non sarebbe meglio spendere per realizzare opere sociali?» si chiedeva p. Carlo. Ma le pressioni della gente e il fortuito incontro con l’architetto italiano hanno fatto maturare la decisione: nel 2012 l’arcivescovo, card. Luis Antonio Tagle, ha benedetto la prima pietra della chiesa. Che, col lavoro di centinaia di parrocchiani e il contributo di tecnici e di benefattori, filippini e italiani, è stata costruita in pochi anni. Con un’alta facciata in pietra lavica, che nelle Filippine non manca: vi sono infatti un’ottantina di vulcani attivi. Una chiesa frutto del lavoro di tante mani, per una parrocchia nel cui territorio vivono oltre centomila abitanti, circa un terzo dei quali in baracche.
La chiesa di San Paolo Apostolo a Tondo (Manila) - Foto Maestro Ochanine, per genile concessione di Danilo Lisi
Non un caso unico: in fondo è quel che comunemente avviene nelle regioni del cosiddetto terzo mondo. In Etiopia per esempio, alla svolta del secolo è stata realizzata in una missione salesiana ad Adua la chiesa di S. Maria Ausiliatrice, su progetto di Luigi Caccia Dominioni, noto architetto milanese del quale questa è l’ultima opera: realizzata con materiali locali, col lavoro delle persone del luogo, col contributo di tecnici e impiantisti italiani. O in Brasile dove un esempio non dissimile da quello di Manila è la chiesa di Salvador di Bahia dedicata a Nostra Signora degli Allagati (Nossa Senhora dos Alagados). Anche qui infatti il terreno era talmente basso sul mare che gli allagamenti erano continui; anche qui c’era un villaggio di baraccati giunti alla ricerca di lavoro presso le locali fabbriche ma scontratisi col disagio e la miseria. Anche qui le opere caritatevoli, in questo caso attivate da sr. Irma Dulce, canonizzata nel 2019, offrivano conforto ai tanti che si ammalavano anche a causa delle condizioni abitative insalubri. Ma quando venne in visita Giovanni Paolo II nell’estate del 1980, i parrocchiani vollero costruire una chiesa nuova. Fu progettata da Jao Figueras, in centinaia si misero all’opera e, lavorando giorno e notte, completarono la costruzione in meno di tre mesi.
Nel secondo dopoguerra si ricordano eventi simili anche in Europa. In una zona fuori Madrid per esempio, riferisce Esteban Fernández Cobián dell’università di La Coruña, la chiesa di Nuestra Señora del Rosario fu eretta nel 1950: all’epoca «il parroco non aveva soldi, aveva solo mattoni che gli erano stati regalati e la mano d’opera dei parrocchiani, gratuita ma non qualificata». L’architetto Luis Laorga fornì un progetto semplice e lineare per una chiesa che doveva contenere almeno seicento persone. Siccome non c’erano le strutture per reggere il tetto, questo si realizzò gettando un sottile strato di cemento su teli grezzi tesi tra le colonne, poi sovrapponendovi un altro strato leggero una volta che il primo era consolidato, e così di seguito sino a ottenere una copertura capace di reggersi da sola: la necessità aguzza l’ingegno. Fu costruita anch’essa in tre mesi. Sono tutti esempi dove risalta l’impegno collettivo di tante persone che attivamente partecipano alle opere. E, pur vivendo in case misere o in baracche, si impegnano a costruire una chiesa che sia grande e bella e solida: perché la casa comune è più importante della propria casa. Come sostiene padre Carlo, «la bellezza non è sfarzo o qualcosa riservata ai ricchi, invece può aiutare a tirar fuori il bene e il buono nelle persone povere e nello stesso tempo può cambiare l’idea negativa di un quartiere disagiato, come era Tondo nell’immaginario della gente».
A Manila, dopo che la chiesa di San Paolo Apostolo ha cambiato il volto del quartiere, hanno cominciato a costruire edifici pluripiano in muratura per appartamenti a prezzi contenuti dove coloro che riescono a trovare un lavoro possono trasferirsi, abbandonando le baracche. Se per l’urbanistica costruire un quartiere nuovo vuol dire anzitutto progettare strade e infrastrutture, per la Chiesa vuol dire anzitutto raccogliere le persone e formare una comunità. Grazie alla collaborazione della quale, presto il luogo si trasforma e diviene capace di accogliere ed esprimere la dignità degli esseri umani. Che si riflette nel principale luogo che dà identità al luogo: la chiesa.
Nel momento in cui tanto si parla di riscoperta dell’identità locale in risposta all’avanzare del globalismo – nell’identità adombrando anche una chiusura simile a quella che si compie nelle gated communities, le comunità per pochi privilegiati basate sull’esclusione dell’altro – esempi come quelli della parrocchia filippina di Tondo mostrano al mondo come siano possibili comunità autenticamente locali e nello stesso tempo universali. Perché capaci di accogliere, nel segno della collaborazione e della solidarietà.