La denuncia. Il vescovo: «Il mio Centrafrica ostaggio di 14 signori della guerra»
Juan José Aguirre, religioso comboniano originario di Cordova, è vescovo di Bangassou da quasi 21 anni
«Le strade si sono ripopolate. I ribelli hanno garantito che non avrebbero commesso violenze sui civili e, per il momento, non l’hanno fatto. Non sappiamo, però, se domani si trasformeranno in lupi famelici. Un’altra località, Grimari, è stata appena attaccata. Il futuro è imprevedibile». L’unica certezza di Juan José Aguirre è che i poveri saranno i più colpiti dalla nuova fiammata di guerra centrafricana.
«È sempre andata così nei 40 anni che sono qui», racconta il vescovo spagnolo di Bangassou, nel sud-est, al confine con la Repubblica democratica del Congo, sotto occupazione degli insorti da quasi una settimana. All’alba di lunedì, i miliziani della Coalizione dei patrioti per il cambiamento (Cpc) hanno sferrato l’attacco, prendendo in contropiede i militari, costretti a ripiegare.
Almeno dieci persone sono morte. In diecimila hanno attraversato il fiume Ubangui, diretti in Congo in cui, nelle ultime settimane, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur/Unhcr) ha visto arrivare oltre 30mila centrafricani.
Il nuovo protagonista del conflitto, la Cpc, riunisce cinque fazioni ribelli, avversarie fino all’insurrezione del 19 dicembre scorso. Ne fanno parte perfino gli ex acerrimi nemici anti-balaka e Seleka. Proprio la ribellione di questi ultimi – in maggioranza islamici – contro l’allora presidente François Bozizé diede inizio al conflitto civile nel 2012.
Deposto, l’ex leader sperava di ritornare al potere con il voto del 27 dicembre ma la Corte Costituzionale l’ha escluso. Questa sarebbe stata la scintilla dell’attuale insurrezione. Le violenze, però, non hanno fermato le elezioni che hanno visto la riconferma del presidente uscente, Faustin Archange Touadera, con quasi il 54 per cento delle preferenze. I risultati sono, però, contestati. Nove rappresentanti dell’opposizione hanno denunciato «frodi massicce» e chiesto ai magistrati dell’Alta corte di non ratificare l’esito entro il termine del 19 gennaio.
«Il Centrafrica è al centro di una tragica partita internazionale per l’accaparramento dei suoi minerali – oro, diamanti, mercurio, litio – e per il controllo della transumanza, dato che molte aree del Paese sono poco popolate. Quattordici signori della guerra – la metà stranieri, del Ciad, del Niger, del Camerun – controllano il 75 per cento del territorio». Al gioco del tutti contro tutti, partecipano anche Russia – alleata del governo Touadera – e Francia, che secondo alcuni analisti, sosterrebbe la Cpc. È questo l’ostacolo alla pace che, al termine dell’Angelus di mercoledì, ha invocato papa Francesco: proprio in Centrafrica, nel 2015, il Pontefice inaugurò il Giubileo della Misericordia.
«Non è una battaglia politica e tantomeno religiosa, anche se spesso le differenze di fede vengono manipolate per alimentare il conflitto», conclude monsignor Aguirre che, nel 2014, fece da scudo umano per proteggere migliaia di islamici, molti dei quali vivono ancora nelle strutture della diocesi, oltre a 350 orfani. «Abbiamo avviato un progetto di riconciliazione dove vittime e carnefici di quel periodo convulso lavorano insieme. La nuova ondata di violenza l’ha fermato. Ma andiamo avanti, pronti a ricostruire, ogni giorno».
I progetti sostenuti dalla Chiesa italiana
La Chiesa italiana accanto al Centrafrica ferito. Con l’8xmille stanno infatti camminando progetti come la Scuola agricola Carmel animata dai Carmelitani scalzi alle porte di Bangui, il Complesso pediatrico gestito nella stessa capitale dall’Opera San Francesco Saverio-Cuamm e altre iniziative solidali, formative e umanitarie. Sono «un segno di speranza in un contesto di sofferenza – dichiara al portale www.chiesacattolica.it don Lorenzo Di Mauro, responsabile del Servizio per gli Interventi caritativi a favore del Terzo Mondo –. Attraverso i fondi dell’8xmille la Chiesa italiana riesce a farsi prossima a tante persone che hanno bisogno d’aiuto e che sono spesso dimenticate».