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Caucaso. Nagorno-Karabakh, la tregua della discordia

Marta Ottaviani mercoledì 11 novembre 2020

La protesta degli armeni davanti alla sede del governo a Erevan

Per molti analisti la parte davvero difficile nel conflitto del Nagorno-Karabakh inizia ora. Sull’assetto della regione a maggioranza armena ma geograficamente in territorio azero è stato raggiunto un accordo destinato a scontentare molti e a rendere ancora più complicate le relazioni fra Ankara e Mosca.

Quel che è certo è che nella notte fra lunedì e martedì, il primo ministro armeno, Nikol Pashiyan ha annunciato sui social di avere firmato una tregua con Baku dietro la mediazione di Mosca. Una scelta che il capo dell’esecutivo ha anticipato essere stata molto «dolorosa». Poche ore dopo la dichiarazione del premier, una folla inferocita ha assaltato il palazzo del governo e il Parlamento di Erevan.

Se l’Armenia parla di decisione dolorosa Baku esulta, e non gli si può certo dare torto. Le clausole dell’accordo infatti vedono tornare all’Azerbaigian tutte le zone perse nella guerra degli anni ’90 e riconquistare con l’azione bellica dell’ultimo mese e mezzo, corrispondenti a circa il 15-20% della piccola regione indipendente, che non viene riconosciuta dalla comunità internazionale. Fra queste vi è anche Susha, la seconda città più importante del Nagorno-Karabakh. «Praticamente, è una capitolazione» ha detto il presidente Aliyev ai suoi, parlando di risultato storico e di nuovo inizio per il futuro del Caucaso. Dichiarazioni che hanno esacerbato ancora di più la reazione della gente. Ancora ieri sera sono scese in piazza centinaia di persone per protestare contro quello che, più che un accordo, appare una sconfitta. Pashiyan ha smentito le voci che lo volevano in fuga dal Paese, mentre l’opposizione è sul piede di guerra e minaccia di rovesciare il governo e di stracciare l’accordo, la cui firma però è stata caldeggiata dai militari armeni, che temevano di perdere anche tutto il resto del Nagorno-Karabakh.

La tregua ufficialmente è entrata in vigore alla mezzanotte di martedì, lunedì alle 22 in Italia. All’Armenia restano le posizioni che è riuscita a mantenere e dovrà garantire all’Azerbaigian il collegamento per il transito di persone e merci con la repubblica autonoma di Nakhchivan, enclave azera confinante con l’Armenia e la Turchia.

La mediazione ha visto il presidente Putin in prima linea, con la Russia che ha tutto l’interesse per mantenere una posizione egemonica nella regione caucasica. E proprio al Cremlino toccherà la parte più delicata di tutte: vigilare sui due corridoi, con i quali Baku e Erevan si impegnano a garantire il transito verso i territori indipendenti del Nagorno-Karabakh e di Nakhchivan. Mosca ha inviato nella regione 2.000 soldati più centinaia di mezzi corazzati.

La Turchia, storica alleata dell’Azerbagian plaude all’accordo. Il ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu ha dichiarato trionfalmente: «Continueremo a essere una nazione, un cuore con i nostri fratelli azeri». Per Ankara, che spera di poter piazzare anche le sue truppe nella regione contestata, però, deve prima fare i conti con Mosca che sembra determinata a non concedere nulla. Dal Cremlino ieri è arrivata la precisazione che «non vi è alcun accordo per la dislocazione di caschi blu turchi nella zona». In più nella dichiarazione congiunta firmata da Russia, Azerbaigian e Armenia, la partecipazione di Ankara non è contemplata.