Spagna. Catalogna, scoppia la «guerra dei sindaci»
In Catalogna ogni giorno si stringe il cerchio della magistratura nei confronti di soggetti istituzionali che collaborano all’organizzazione del referendum secessionista. La Procura catalana, dopo aver avvisato il comandante dei Mossos – la polizia locale che dipende dalla Generalitat catalana ma è anche agli ordini di Madrid quale polizia giudiziaria –, sull’obbligo di sequestrare le urne e le schede elettorali, ha ricevuto l’impegno al rispetto delle direttive. Inoltre la Procura nazionale spagnola ha dichiarato indagati i sindaci dei Comuni che hanno messo a disposizione strutture pubbliche per l’effettuazione del referendum, avvertendo che se non si presenteranno quando saranno convocati rischieranno l’arresto.
Si tratta di centinaia di sindaci, secondo i secessionisti più di 700, soprattutto di Comuni minori, ed è evidente che un’operazione di questo genere, specialmente se fossero in molti a disobbedire alla convocazione, avrebbe una grande risonanza. L’ala più estrema del secessionismo, la Cup, ha già replicato invitando i suoi sindaci a non presentarsi. In realtà i cittadini catalani residenti nei Comuni che hanno accettato l’invito della Generalitat a collaborare al referendum sono solo il 41 per cento del totale della popolazione, perché i centri maggiori o non hanno ancora deciso, come Barcellona, o hanno rifiutato.
La sospensione della legge di convocazione del referendum è stata notificata anche, personalmente, a tutti i membri del collegio elettorale catalano, con l’avvertenza che è loro obbligo «impedire o paralizzare qualsiasi iniziativa che tenda a ignorare o disattendere la sospensione». Si tratta di giuristi ed esponenti politici nominati proprio per far parte della giunta elettorale che dovrebbe certificare l’esito del referendum, e che ora si trovano nella condizione di rifiutarsi di svolgere questa funzione o di essere denunciati dalla magistratura per disobbedienza alla legge. La stessa ordinanza è stata notificata ai membri delle commissioni elettorali provinciali. Inoltre la Corte costituzionale spagnola ha dato 48 ore di tempo ai funzionari della Catalogna per indicare come intendano evitare il referendum del 1° ottobre. Mentre la Tv pubblica catalana, su richiesta della procura, ha smesso di trasmettere gli spot sul referendum.
Nei prossimi giorni si vedrà se questa stretta giudiziaria sulle singole autorità implicate nell’iniziativa referendaria creerà qualche ulteriore incrinatura nel fronte secessionista, che per ora insiste sulla legittimità democratica del referendum. Il governo catalano, intanto, ha licenziato il presidente del consorzio per l’educazione di Barcellona, sostituendolo con una fervente secessionista, forse allo scopo di usare le scuole che dipendono dalla Generalitat se il Comune di Barcellona non metterà a disposizione per lo svolgimento del referendum le sue strutture. Si fanno peraltro sentire voci autorevoli contro la secessione, a cominciare da quella del re Filippo VI, e della Confindustria spagnola, presieduta da un imprenditore catalano, che ha ammonito sugli effetti disastrosi che la secessione avrebbe sull’economia catalana e spagnola. La contrapposizione si diffonde pericolosamente su tutto il territorio catalano.