G7. Scontro sul commercio, ma non c'è spaccatura
Lo ha destabilizzato, ma è rimasto il mattatore del G7. Il presidente degli Stati Uniti si prende la scena anche della giornata conclusiva del vertice canadese sul lago di Charlevoix che, fra gravi divisioni e polemiche, alla fine evita la spaccatura sul solo piano formale, partorendo fra mille difficoltà un limatissimo documento finale. "The Donald", come annunciato, lascia l’incontro prima della sessione finale su ambiente e clima (e della foto di rito), destinazione Singapore per quello che lui ritiene il "vero" vertice, col nordcoreano Kim. Prima di andarsene, tuttavia, tiene una conferenza stampa e, da campione del paradosso, lui - il creatore dei dazi su acciaio e alluminio - indossa la maschera da paladino del trade free: «Il commercio dovrebbe essere libero da tariffe, barriere e sussidi. Ma devono cadere per tutti». Perché alla base dell’irrigidimento del presidente c’è una ragione economica: «Gli Usa sono stati trattati ingiustamente. Abbiamo perso 817 miliardi di dollari sul commercio, è ridicolo e inaccettabile». È successo perché gli Usa hanno dovuto "digerire" accordi indigesti in passato: «Io non do la colpa agli altri, ma ai nostri leader passati».
È stato, insomma, un attacco all’attuale sistema di regole imperniato sul Wto (l’organizzazione mondiale commerciale) quello sferrato da Trump nel G7 più difficile degli ultimi anni. Un G7 che ha visto cambiare anche le modalità di svolgimento: più frequenti del solito, rispetto al passato, i capannelli fra i leader, anche durante l’altra notte. Proprio una liberalizzazione totale è ciò che il tycoon ha chiesto al tavolo dei Grandi, l’altra sera. Una svolta per porre fine alla guerra commerciale che sta dilaniando il mondo, comprendendo ovviamente la Cina. Dichiarazioni che hanno costituito comunque «un punto di partenza», ha riconosciuto Angela Merkel. È la cancelliera tedesca che più di tutti si è impegnata per far sì che, da questa base, si partisse per scongiurare che il vertice desse l’immagine di un mondo ancora più diviso, con un senso di debolezza generale. È lei a radunare, a un certo punto, tutti i leader accanto a Trump, l’unico rimasto seduto. È ancora lei che, a metà giornata (e dopo il primo annuncio fatto da Conte), incontra fugacemente i giornalisti per confermare: «Avremo un testo comune sul commercio. Ma non risolve i problemi: abbiamo opinioni differenti fra Usa ed Europa». Poco dopo è anche il presidente francese Emmanuel Macron a dirlo: «La dichiarazione non risolve tutti i problemi».
Diversità rese, senza peli sulla lingua, dallo stesso Trump: «L’Unione Europea è brutale nei confronti degli Stati Uniti e lo sa». Il discorso si allarga anche agli altri partner che starebbero "mungendo" il Grande Paese a stelle e strisce, con toni anche sopra le righe: «Non possiamo andare avanti con una situazione in cui gli Usa sono il salvadanaio da cui tutti rubano – dice Trump –. Il Canada non riesce a credere a quello che ha ottenuto. Con il Messico abbiamo un deficit commerciale da 100 miliardi, che non comprende tutta la droga che entra nel nostro Paese...», e qui i riferimenti sono al Nafta, l’accordo di libero scambio. Gli sgarbi al Canada padrone di casa sono anche nel protocollo: Trump è stato l’ultimo ad arrivare anche ieri mattina, alla sessione sulla parità di genere, saltando il discorso del premier Justin Trudeau, che ha voluto iniziare «senza aspettare i ritardatari» (e la sedia vuota di Trump è stata irritualmente twittata dal canadese).
Il pensiero alle barriere commerciali è strettamente legato a quello su Mosca. Trump ribadisce il concetto che aveva creato tensioni nella prima giornata: «Riportare la Russia nel G7 è nell’interesse di tutti», poi sottolinea come non abbia senso che il Cremlino continui a restare fuori dal gruppo delle potenze mondiali. «Non parlo con Putin da diverso tempo, ma è stata discussa la questione di riportare la Russia e tornare al G8. Cerchiamo la pace nel mondo, non facciamo giochi», spiega il presidente americano. La Crimea? «Dovete chiedere a Obama perché ha lasciato che accadesse», replica.
Per trovare qualche spiraglio di ottimismo non resta, allora, che sottolineare il passaggio di Trump sugli «ottimi» rapporti personali con gli altri leader. Ma ai partner europei ha mandato un messaggio chiaro: «Se pensano a rappresaglie ai dazi stanno compiendo un errore». Le rappresaglie, in realtà, sono già pronte: su 180 prodotti, tra i quali le moto Harley Davidson e i jeans Levìs, dal 21 giugno scatteranno tariffe supplementari del 25%. E la minaccia del tycoon, secondo chi ha seguito il dossier, può essere letta solo in un senso: le tanto temute tariffe sulle auto. Che, però, potrebbero anche ritorcersi verso parte dei lavoratori americani, visto che la Germania produce in Usa oltre 800mila auto l’anno, dando lavoro a oltre 100mila persone. Per il resto, la volontà chiara di raggiungere un minimo compromesso sul testo finale segnala almeno l’intenzione di non esacerbare i toni. Per questo G7 bisogna accontentarsi. In attesa di svolte e di tempi migliori.