La crisi Usa-Iran. Lo storico: nelle azioni americane c'è la dottrina di Pompeo
Le esequie del generale Soleimani a Teheran
«Nessuno ha mai messo la Repubblica islamica in un angolo così come questa amministrazione americana». Così Pejman Abdolmohammadi, professore di Storia e istituzioni del Medio Oriente presso l’Università di Trento, commenta gli ultimi sviluppi «di uno scontro in atto da anni» fra Washington e Teheran, ma in questo primo scorcio di 2020 particolarmente acuto.
In che cosa questo frangente è diverso?
La reazione spropositata della Casa Bianca – con l’operazione di intelligence per eliminare il generale Qassem Soleimani – alla linea rossa superata dalla Repubblica islamica attraverso l’attacco orchestrato contro l’ambasciata statunitense a Baghdad.
Quali sono le opzioni a disposizione di Teheran ora?
La risposta istituzionale adottata al momento da parte del «triangolo sciita» (espressione con cui si intendono Iran, Iraq, Yemen e Sud del Libano) è astuta: la vendetta ci sarà, fanno sapere anche gli Hezbollah libanesi, ma non prenderà di mira i civili. È una risposta tesa anche a non inimicarsi la comunità internazionale. Allo stesso tempo, però, così facendo la Repubblica islamica rischia di prestare il fianco ai propri nemici. D’altro canto, una reazione bellica non conviene a Teheran, che infatti si limita a dichiarazioni ufficiali e sta mantenendo un profilo basso. Insomma, in un modo o nell’altro i rischi sono elevati.
Sul piano interno, quanto l’omicidio di Soleimani può compattare l’opinione pubblica aiutando un regime in difficoltà?
I funerali del generale stanno suscitando grande partecipazione e indignazione. Solo un mese e mezzo fa, però, la repressione scatenata contro gli oppositori (scesi a manifestare in piazza in tutto il Paese) si è tradotta nell’uccisione di circa mille persone: questa ferita è aperta e non facilmente cancellabile. Per questo, più di tanto la carta dell’unità nazionale non potrà essere sfruttata in questo caso.
I detrattori dell’amministrazione Trump ritengono che l’omicidio di Soleimani sia stata una scelta insensata. È davvero così?
Io sostengo che una dottrina Trump – per quanto possa sembrare amorale – c’è. Probabilmente è più corretto parlare di dottrina Pompeo (il segretario di Stato americano, ndr) di neutralizzazione dell’islam politico militante, sciita e sunnita. In quest’ottica dobbiamo leggere il contrasto alla Fratellanza musulmana, al wahhabismo saudita mediante il sostegno al principe ereditario Mohammed Bin Salman, al Daesh. In Iran, Pompeo vuole far saltare la Repubblica islamica, chiaramente. Ma in ballo c’è molto di più.
Qual è davvero la posta in gioco per Washington?
La vera partita mondiale è il contenimento della Cina, con modalità diverse a seconda degli scenari. Ad americani e occidentali in genere conviene un Medio Oriente stabilizzato, in cui le ambizioni iraniane siano ridimensionate, per svilupparci un hub economico commerciale nevralgico. Non così in Africa, dove invece l’espansione cinese è già avanzata e uno scenario turbolento potrebbe essere, cinicamente, più vantaggioso per gli interessi americani.