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La tempesta. Londra festeggia tre anni di Brexit e si prepara alla recessione

Angela Napoletano, Londra mercoledì 1 febbraio 2023

In Gran Bretagna l'inflazione è alle stelle, i salari non bastano e gli scioperi si susseguono

La tempistica della stoccata, è solo coincidenza, non poteva essere peggiore. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha fatto sapere proprio ieri, nel giorno del terzo anniversario dell’addio all’Unione Europea, che il Regno Unito è l’unico Paese del G7 condannato quest’anno alla recessione.

Gli analisti hanno corretto al rialzo le previsioni di crescita globale di ottobre. Nell’ultima relazione il segno più caratterizza, in particolare, le maggiori economie mondiali: Germania (0,1%), Francia (0,7%), Italia (0,6%), Giappone (1,8%), Canada (1,5%) e Stati Uniti (1,4%). Ma non Londra. Il Pil britannico è dato in diminuzione dello 0,6%. Persino la Russia farà meglio.

I tecnici attribuiscono l’eccezione inglese a fattori come l’instabilità del mercato del lavoro, il rigore delle politiche di spesa pubblica, l’inflazione intorno al 10% e i vertiginosi tassi di interesse che la Banca d’Inghilterra, giovedì, potrebbe ulteriormente incrementare fino al 4%. Per usare le parole di Pierre-Olivier Gourinchas, capo economista del Fmi, il governo di Rishi Sunak si appresta ad affrontare tempi «molto impegnativi».

La batosta piovuta da Washington aumenta la pressione su Jeremy Hunt, il Cancelliere dello Scacchiere, messo alle strette da quanti, fuori e dentro il Parlamento, esigono una strategia di crescita più ambiziosa e una scure sulle tasse. L’ex ministro degli Esteri, va però ricordato, è arrivato al numero 11 di Downing Street per rimediare, laddove possibile, alla catastrofica manovra fiscale di Liz Truss che, a settembre, fece tremare la City.

L’austerity di Hunt additata dal Fmi è in parte il risultato di quel piano, particolarmente indigesto ai mercati, che contemplava massicci tagli fiscali a fronte di un imprecisato indebitamento. Follia ultraliberale, è stato detto, maturata nei salotti brexiteer chiusi alla realtà di un Paese già azzoppato dalle conseguenze della guerra in Ucraina e, ancor prima, dalla pandemia.

È la cronaca quotidiana a dire che i tempi duri previsti ai piani alti del Fondo monetario internazionale sono già qui. La banca centrale stima che le approvazioni dei mutui sono passate, solo tra novembre e dicembre, da 46.200 a 35.600. L’Insolvency Service segnala che le società fallite nel 2022 (più di 22mila) sono salite al livello più alto dal 2009.

Il mondo del lavoro è in subbuglio. I sindacati hanno convocato per oggi uno sciopero che dovrebbe coinvolgere mezzo milione di lavoratori pubblici tra insegnanti, impiegati, ferrotranvieri, docenti universitari, autisti di autobus e guardie di sicurezza.

È dagli anni ’70 che nel Regno Unito non si vedono più rivendicazioni di tale portata. Nei prossimi giorni torneranno a protestare anche infermieri e addetti alle ambulanze. L’urgenza gridata (invano) da mesi è l’adeguamento dei salari all’inflazione che Hunt promette di dimezzare. Il carovita macina intanto un numero sempre più alto di senzatetto. Il messaggio con cui, ieri, il premier Sunak ha celebrato i tre anni di Brexit è però carico di ottimismo: «Siamo solo all’inizio».