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L'addio all'Unione. Brexit, l'Ue accorcia la proroga: «Prima del voto europeo»

Giovanni Maria Del Re, Bruxelles venerdì 22 marzo 2019

Ci sono volute oltre sei ore di discussione, con i leader dei 27 coinvolti in un balletto di date e possibili condizioni. Poi alla fine il Consiglio Europeo è riuscito faticosamente a partorire una decisione sulla richiesta di rinvio della Brexit avanzata dalla premier britannica Theresa May. Il 30 giugno da lei proposta non è passato, perché alla fine si è imposta la linea della Commissione Europea secondo la quale, se il Regno Unito sarà ancora stato membro Ue al 23 maggio, data di inizio delle elezioni europee, dovrà partecipare al voto, pena un rischio di legittimità del nuovo Parlamento Europeo, visto che i trattati Ue impongono che ogni Stato membro sia chiamato alle urne. E così ieri si è imposta una soluzione complicata ma con una sua logica: se la prossima settimana Westminster approverà, al terzo voto, l’accordo di recesso, allora ci sarà un rinvio fino al 22 maggio. Se invece voterà contro o non voterà, entro il 12 aprile Londra dovrà dire che farà. E cioè se partecipa al voto, nel qual caso si potrà avere un rinvio lungo, fino ad almeno al 31 dicembre 2019, o altrimenti ci dovrà essere un Brexit con o senza accordo il 22 maggio.

Non era questa l’impostazione iniziale dei Ventisette, radunatisi con l’intenzione di porre come condizione tassativa a Londra per il rinvio l’approvazione dell’accordo di recesso la prossima settimana. «L’accordo di recesso – ha detto duro il presidente francese Emmanuel Macron arrivando al vertice – non può esser rinegoziato. Se il Parlamento britannico (la prossima settimana ndr) voterà no, ci avviamo al no-deal (l’uscita senza accordo)». «La mia sensazione è di aspettare Godot – ironizzava il premier lussemburghese Xavier Bettel – e Godot non arriva. Se non ci sarà il sì di Westminster avremo il no deal». E infatti il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk aveva preparato una bozza di conclusioni che prevedeva un’estensione fino al 22 maggio, non prorogabile per via delle elezioni. Anzi il presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani, aveva chiesto l’11 aprile, termine ultimo per annunciare (o meno) la partecipazione alle europee.

Solo che a provocare un ripensamento è stato l’incontro di un paio d’ore tra i 27 e May, prima che la premier lasciasse i leader da soli. Un incontro decisamente deludente. Raccontano di un fuoco di fila di domande alla premier, del tipo: che cosa ti fa pensare che riuscirai a strappare il sì a Westminster dopo due no? Che cosa conti di fare se arriva la terza bocciatura? May, dicono, non ha saputo rispondere, la sensazione nell’aria era di una leader che ormai non sa più che pesci prendere, «i leader hanno perso ogni speranza che riesca a far passare l’accordo di recesso la prossima settimana» diceva un diplomatico. Con ormai l’altissimo rischio di un no-deal.

A quel punto la discussione ha preso un’altra piega, e ha portato a mettere in dubbio proprio questa condizione, anche se con varie «sfumature» (più duri francesi, belgi, lussemburghesi, molto disponibili con Londra i polacchi, a metà italiani e tedeschi). Perché, al di là di prevedere un possibile vertice straordinario il 28 marzo (a questo punto sembra tramontato), anche i leader non sapevano bene che fare nel probabile caso di un terzo no di Westminster. E nessuno vuole un catastrofico no-deal. «Dobbiamo lavorare fino all’ultimo minuto per evitarlo» avvertiva la cancelliera Angela Merkel.

In serata i francesi hanno avanzato una nuova proposta: niente condizioni di un voto la prossima settimana, ma un rinvio ancora più limitato, che tiene conto anche delle richieste di Tajani: estensione fino al 7 maggio, con la possibilità per Londra di notificare entro l’11 aprile l’intenzione di tenere elezioni europee. In questo caso, sarebbe possibile anche un rinvio lungo, almeno fino al 31 dicembre 2019. Altrimenti il 7 maggio uscita comunque, con o senza accordo. Una proposta che non ha avuto successo. Alla fine, si è arrivata alla soluzione della doppia data, il che dovrebbe evitare anche un vertice straordinario la prossima settimana. Una cosa è chiara: i 27 hanno capito che nel caos britannico incauti ultimatum potrebbero solo peggiorare la situazione. C’è la sensazione, oltretutto, che a Londra ormai tutto può succedere, dalle dimissioni di May a un nuovo referendum.