«Strawberries, strawberries! Last european strawberries!», cantilena il verduraio del Borough Market. Sa bene che quelle che sta vendendo oggi non saranno certo le ultime fragole provenienti dall’Europa, ma un po’ di british humour non manca mai. A pochi isolati di distanza la bandiera stellata dell’Unione Europea sgomitava fra gli stendardi del gay-pride. La notte scorsa centinaia di dimostranti anti-Brexit erano scesi per le strade al grido di “referendum razzista”. La verità è che molti ci stanno ripensando. Tardivamente, ma ci stanno ripensando e – sono già almeno due milioni – stanno architettando non uno ma due referendum per ribaltare la vittoria della Brexit e riportare l’orologio del Regno Unito indietro di 48 ore. Qualcuno dice che è un pietoso autoinganno, che si prova a chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati, ma girando per le vie di Londra in queste ultime ore abbiamo la sensazione – ce lo suggerisce quel torpore, quel che di assente nello sguardo, quello sbalordimento sordo che tampona ogni possibile emozione che si coglie fra la gente – che la capitale, un’isola del “Remain” accerchiata dal vasto pelago del “Leave”, sia stata colpita da una sorta di “Post traumatic stress disorder”, quello stress da choc traumatico che segue gli eventi catastrofici. Come il divorzio della Gran Bretagna dall’Europa, appunto. Un divorzio che comincia a prender forma solo oggi, dopo che il clamore sul risultato si è un poco spento.«Ma cosa diavolo abbiamo combinato? – si stringe nelle spalle Deborah, che pur essendo residente da otto anni e virtualmente non ha nulla da temere è molto prossima al pianto –. Che cosa abbiamo fatto? Per assecondare la strategia di un premier fra i più mediocri di ogni tempo abbiamo gettato via quarant’anni di convivenza con il Continente». Dice Albert, assistente universitario: «Sbaglio o Cameron è riuscito nel capolavoro di fare a pezzi un Paese facendo fuori anche se stesso?». Corbyn avrebbe fatto meglio? «No, Corbyn è una via di mezzo fra le nostalgie leniniste e l’utopia di una nazione artificialmente povera. Avrebbe perso anche lui, e comunque lo vedo fuori gioco, perché non è riuscito a limitare il consenso al “Leave” fra le classi meno avvantaggiate, quelle che dovrebbero essere il suo elettorato».Due ragazzi discutono animatamente davanti alla Liverpool Station. «È l’idea di Europa che è andata a catafascio – dice uno –, non è solo il fatto che adesso noi siamo diventati degli extracomunitari». «Guarda che semmai gli extracomunitari sono loro...». I due ragazzi sono italiani. «Tutto sarà comunque più difficile – dice Amedeo, da Catanzaro, che vive a Londra da un paio d’anni – e se non hai un lavoro non sarà più possibile partire per l’Inghilterra in cerca di fortuna come ho fatto io».Ma se vogliamo davvero cogliere lo choc profondo che ha colpito gli inglesi dobbiamo andare ad Abbeville Village, un ricco quartiere del borough di Clapham a sud della City incastonato tra Brixton e Battersea. Qui i “Remain” hanno fatto registrare il 60% dei consensi. E qui si spargono lacrime, lacrime vere. Di delusione, soprattutto. «È un po’ come se ci avessero strappato via l’anima – dice Mr Stanley, proprietario di una vineria in Abbeville Road –: qui non è questione di accettare oppure no un verdetto democratico, questa è una decisione epocale che avrebbe avuto bisogno di un dibattito parlamentare e di una decisione del governo, non di una campagna giocata sull’onda emotiva di un paio di pifferai...».Roberta lavora da Ginger Pig, succulenta macelleria molto amata nel quartiere. «Non volevo credere ai miei occhi, quella notte. Non pensavo fosse possibile, forse perché vivere qui a Abbeville mi ha indotto a credere che tutto sommato nel Regno Unito prevalesse la saggezza di rimanere in Europa. E invece...». «Non ti scordare che il quaranta per cento di quelli che hanno votato nel nostro quartiere si è espresso per il “Leave”!», la rimbecca il suo boss. Lei ha votato “Leave”? «Non sono obbligato a rispondere – dice, anche se il lampo malizioso che gli illumina lo sguardo è più che eloquente – e comunque questa immigrazione indiscriminata in qualche modo va fermata, non si poteva andare avanti così». Il boss, va detto, è giamaicano. Non v’è dubbio, al netto dei possibili referendum la vittoria della Brexit è un lutto che per milioni di britannici sarà assai lungo da elaborare. Un autentico “watershed”, come scrivono i giornali, un evento – al pari dell’assassinio di Kennedy, della morte di Lady Diana, del primo uomo sulla Luna – impossibile da dimenticare. Una folla di giovani e meno giovani si mette in coda per la pausa pranzo nei tanti bistrot attorno a Spitalfields. Una banda di musicisti di Okinawa intona penose litanie. Non so perché, ma di sorrisi sui volti di tutti quei giovani se ne vedevano davvero pochi.