Arriva ad evocare lo spettro di una guerra in Europa, il premier britannico David Cameron, tra le potenziali conseguenze a lungo termine di un’eventuale Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. È il segno che la temperatura politica sta salendo di livello, a un mese e mezzo dal referendum che deciderà tutto: non solo un potenziale e burrascoso divorzio tra Londra e Bruxelles, ma anche l’eventuale uscita di scena dello stesso Cameron e il contraccolpo interno con l’europeista Scozia, dove tornano a soffiare venti di indipendenza. Per non parlare del potenziale effetto domino in grado di mettere in discussione, forse, l’intero disegno europeo. Insomma, il rischio è che la Brexit apra un vaso di Pandora devastante. Cameron ha avvertito che la Brexit potrebbe mettere a rischio «la pace e la stabilità» in Europa in un discorso nel quale ha sottolineato che l’Ue, con il Regno Unito al suo interno, ha contribuito a tenere uniti Paesi divisi. «Possiamo essere sicuri che la pace e la stabilità del nostro continente siano garantite senza dubbio? Vale la pena di correre questo rischio?», ha evidenziato il premier. Il leader conservatore ha anche ricordato che il destino del Regno Unito è sempre stato collegato all’Europa: «Orgogliosi come siamo dei nostri successi a livello globale e delle nostre connessioni globali, il Regno Unito è sempre stato una potenza europea e lo sarà sempre». E ha osservato inoltre che «l’isolazionismo non ha mai giovato» alla Gran Bretagna.Inevitabilmente l’intervento di Cameron ha suscitato forti critiche dal fronte euroscettico che più volte ha accusato il premier di promuovere una linea improntata all’allarmismo sulle possibili conseguenze di una Brexit. «Non è una cosa seria», ha detto ad esempio l’ex sindaco di Londra, Boris Johnson, a proposito del rischio evocato da Cameron su una possibile guerra in Europa in caso di Brexit. «Il primo ministro era pronto fino a qualche mese fa a sostenere la campagna per la Brexit qualora non avesse ottenuto riforme sostanziali da Bruxelles», ha aggiunto Johnson, secondo il quale i negoziati non hanno garantito al Regno Unito quello di cui ha bisogno. Per il deputato Tory – che ha fatto della Brexit il suo cavallo di battaglia nella scalata alla leadership del partito – il divorzio dall’Ue è invece un’opportunità per riconquistare la sovranità perduta e rendere il Regno ancora più cosmopolita e aperto al mondo. Non solo: Johnson ha anche sottolineato che «la garanzia di pace e stabilità è arrivata» semmai «dalla Nato», denunciando come una minaccia per l’Alleanza Atlantica «la pretesa dell’Ue di avere una politica estera e di difesa » autonoma e imputandole la colpa della crisi in Ucraina e nei rapporti con la Russia. Nicola Sturgeon, leader dello Scottish National Party e first minister scozzese, ha intanto ricordato come in caso di Brexit l’europeista Scozia possa arrivare a chiedere un nuovo referendum per l’indipendenza da Londra, dopo quello fallito del settembre 2014. Nonostante gli appelli sempre più veementi di Cameron, le due eventualità sono date a 50 e 50, laddove appena una settimana fa l’opzione favorevole alla Brexit era data al 46 per cento contro il 54 per cento dei contrari.La situazione è dunque ancora fortemente in bilico. La campagna anti- Brexit ha lanciato ieri un video che vede quattro veterani della Seconda Guerra Mondiale ricordare ai sudditi di Sua Maestà le tragedie europee di quando ancora non c’era un progetto di vita in comune e di istituzioni comunitarie. “Britain Stronger in Europe”, il comitato che porta avanti la campagna contro l’eventualità dell’uscita dall’Ue, ha utilizzato soprattutto un’intervista a Lord Bramall, il militare del secondo conflitto globale più decorato ancora vivente, per spiegare ai britannici i rischi di un continente dove ogni Paese vada per conto suo, senza quel grande tessuto connettivo guidato dalle istituzioni di Bruxelles. Secondo il
Financial Times, che riporta i risultati di un sondaggio Ipsos Mori realizzato in gran parte dell’Unione, il voto per la Brexit rischia di scatenare un “effetto domino” in altri Paesi europei, Italia inclusa, dove «il 58% della popolazione » vorrebbe un simile referendum. Nei Paesi chiave europei più della metà della popolazione vorrebbe essere interpellata sull’appartenenza all’Ue così come avverrà nel Regno Unito. Secondo la stessa rilevazione, del resto, in Germania, Italia, Svezia e Ungheria più della metà degli elettori è convinta che l’eventuale abbandono dell’Unione Europea da parte della Gran Bretagna a giugno spingerebbe altri Stati ad accodarsi verso l’uscita.