In
Bosnia-Erzegovina l'entità a maggioranza serba ha votato quasi
all'unanimità a favore del mantenimento di una festa nazionale
che ricorda la secessione unilaterale della Repubblica Serba. L'evento segnò l'inizio del sanguinoso conflitto culminato nella strage di Srebrenica, dove i serbi massacrarono oltre ottomila musulmani.
I risultati definitivi del referendum di domenica nella
Republika Srpska (Rs), l'entità a maggioranza serba di Bosnia, non lasciano ombra di dubbio: il
99,81% dei votanti si è detto a favore della festa nazionale del 9 gennaio, una celebrazione tuttavia dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale bosniaca, che la ritiene
discriminatoria verso croati, musulmani e altri non serbi residenti nella Rs. L'affluenza alle urne è stata del 55,75% sui poco più di 1,2 milioni di aventi diritto.
A diffondere i dati finali è stata oggi la commissione elettorale, che ha
sancito la validità del referendum grazie all'affluenza
superiore al 50%.
La
totale assenza di osservatori durante le operazioni di
voto suscita molti dubbi sulla veridicità dei risultati,
soprattutto tra i bosniaci musulmani. Secondo le
liste
elettorali formate dalle autorità serbo-bosniache, gli aventi
diritto al voto nella Rs sono 1.219.395, mentre secondo l'ultimo
censimento nella Rs vivono 1.228.423 persone: ne consegue che
solo poco più di diecimila abitanti sono minorenni.
La Commissione europea ha ribadito oggi che
il referendum di
ieri, sconfessato dalla Corte costituzionale, non ha un
fondamento legale.
A trarre giovamento dall'esito della consultazione sarebbe
Milorad Dodik,
leader della Rs, in vista delle imminenti elezioni
amministrative del 2 ottobre. Il «sì» di domenica finirebbe anche per rafforzare la
posizione della Rs all'interno della Bosnia e gli impulsi
secessionisti dei serbi di Bosnia.