Ucraina. Kiev come Sarajevo, si muore per il pane. I versi del poeta Sarajlić
A Sarajevo nel 1993, in coda per il pane
Kiev come Sarajevo. Trenta anni fa, primavera del 1992, proprio come oggi, piovevano bombe sul pane. Oggi su un panificio industriale a Makariv, 60 chiloemtri a ovest della capitale ucraina, ieri sulla gente in coda per comprarlo. Fu uno dei più tragici episodio dell’assedio di Sarajevo, capitale bosniaca, il più lungo assedio del XX secolo, dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996. Più di 12mila morti, oltre 50mila feriti, l’85% civili. Come in Ucraina. Si moriva sotto i colpi delle forze dell’Armata popolare jugoslava e serbo-bosniache, contro la capitale bosniaca musulmana.
Colpi di mortaio sul mercato, sul panificio, tiri dei cecchini su chi portava l’acqua potabile.
A narrare in versi quell’assedio fu Izet Sarajlić, soprannominato Kiko, uno dei maggiori poeti bosniaci del Novecento. Nato nel 1930 e morto a Sarajevo nel 2002.
Di famiglia musulmana, sposato all’amatissima Mikica, cattolica e figlia di cristiani ortodossi, non volle lasciare la città che tanto amava per il suo carattere multietnico, e coi suoi versi è stato testimone di quell’enorme tragedia. Pagando di persona. Nella guerra, infatti, perse le sorelle Nina e Raza, e subito dopo la guerra, la moglie, provata dagli stenti e dalle ristrettezze.
Ed ecco la poesia che ricorda quel terribile episodio.
La fortuna alla maniera di Sarajevo
di Izet Sarajlić
A Sarajevo
in questa primavera 1992,
tutto è possibile;
fai la coda per comprare il pane
e ti ritrovi al Servizio traumatologia
con una gamba amputata.
E dopo asserisci
d’aver avuto anche fortuna