Continua a salire il numero delle vittime provocato dagli attentati terroristici di venerdì scorso a Kano, capitale dell’omonimo Stato nel nord della Nigeria. Secondo le ultime stime, sono oltre 250 le persone uccise dai militanti di Boko Haram, la setta islamica estremista che semina il terrore nel Paese. «La città è ancora sotto choc», ha detto all’agenzia
Fides monsignor John Namaza Niyiring, vescovo di Kano. Dopo l’agguato, la città sembra essersi paralizzata. Ieri negozi e uffici erano deserti. Migliaia sono già fuggiti nelle ultime 72 ore per timore di nuove violenze. Un terrore giustificato: ieri sono state scoperte oltre 100 bombe inesplose nella città: avrebbero dovuto esplodere in vari punti, tra cui l’affollato mercato principale. Domenica, inoltre, ci sono stati anche altri attacchi a Bauchi, dove due chiese, di cui una cattolica, sono state colpite con ordigni artigianali. «I due edifici erano vuoti e non vi sono state vittime – ha reso noto il quotidiano locale
Vanguard – ma una delle strutture è stata completamente distrutta. Inoltre otto civili, un poliziotto e un soldato (apparentemente tutti cristiani) sono stati uccisi in una località vicina». Quest’ultima serie di attacchi ha confermato la capacità dei militanti islamici di colpire ovunque, utilizzando mezzi e strategie sofisticati. «Gli assalitori sembravano ben addestrati e indossavano uniformi mimetiche come quelle usata dalla polizia locale – ha continuato a spiegare il vescovo di Kano –. Questa tattica ha tratto in inganno alcuni civili che si sono diretti verso i terroristi, credendoli poliziotti, e sono stati uccisi senza pietà». Secondo monsignor Niyiring, molti militanti provenivano da Niger e Ciad, due Paesi in cui Boko Haram sembra avere una presenza radicata. I servizi segreti americani e francesi hanno già confermato un collegamento tra i cosiddetti “taleban nigeriani”, e movimenti terroristici come al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi) e al-Shabaab, i cui ribelli combattono in Somalia. Diversi membri di Boko Haram sono stati addestrati in Pachistan e Yemen nei campi di al-Qaeda, e stanno ora usando le capacità tecniche e logistiche acquisite in Nigeria. Gli analisti sostengono però che il gruppo estremista si sia spaccato in due. Da una parte un filone più moderato, pronto alle trattative con il governo per stabilire la legge coranica in tutto il Nord del Paese e ottenere un maggiore riconoscimento politico. Dall’altra, invece, una frangia più pericolosa che ha come unico scopo il “jihad” (guerra santa, n.d.r.) internazionale. Il loro leader, Abubakar Shekau, noto per risiedere tra Niger, Camerun, e Ciad, è recentemente apparso in un video-messaggio su Internet in cui prometteva altri pesanti attacchi e minacciava, oltre alle autorità, tutti gli «infedeli collaborazionisti». «Stanno distruggendo la speranza di una Nigeria unita e di un unico popolo nigeriano», ha affermato monsignor Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos, capitale dello stato centrale di Plateu. «A causa degli atti terroristici di Boko Haram, diversi nigeriani originari del Sud che vivono nel Nord stanno tornando nelle regioni di origine, ma anche – continua monsignor Kaigama – alcuni nigeriani del Nord che vivono nel Sud stanno tornando a casa per paura di rappresaglie».È un periodo di forti pressioni per il presidente nigeriano Goodluck Jonathan che sembra sempre meno in grado di gestire il più grande produttore di petrolio del continente africano. Domenica, il leader si è recato a Kano e ha promesso maggiori misure di sicurezza per proteggere la popolazione. Pochi, però, sono disposti a credergli nel Paese. E la popolazione continua a vivere nel terrore. Perché Jonathan stesso ha ammesso che nell’amministrazione ci sono «simpatizzanti della setta»