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Piscologi in azione. Bimbi traumatizzati, vittime di Boko Haram

martedì 1 settembre 2015
Gli attacchi e le violenze dei Boko Haram in tutta la regione del lago Ciad rischiano anche di distruggere psicologicamente un’intera generazione.  Lo denuncia Medici senza frontiere che ha integrato il supporto psicologico alle attività mediche. "I bambini raccontano storie orribili attraverso i loro disegni: armi, elicotteri, persone decapitate – racconta Aurelia Morabito, psicologa Msf - . Molti fuggono da soli nella notte o si nascondono in acqua, sperando che nessuno li trovi”. Traumi molto difficili da riassorbire, anche perché il clima di terrore sembra destinato a durare ancora a lungo. Nelle ultime settimane, infatti, gli attacchi perpetrati da Boko Haram nella regione del lago Ciad sono aumentati e, in risposta, si è estesa anche la presenza militare. Il numero di persone costrette a fuggire dalle proprie case è più che raddoppiato, portando il numero totale di sfollati nell’area a 75.000. La paura instillata nella popolazione – composta da persone provenienti sia dal Niger e dalla Nigeria che dal Ciad – è acuita dalla violenza incessante che non mostra segni di cedimento. I bisogni in termini di cure psicologiche sono elevati e, considerato anche l’ultimo aumento di violenza, continueranno soltanto a crescere. Dall’inizio delle sue attività in risposta alla crisi in Ciad, nel mese di marzo di quest’anno, Medici senza frontiere (MSF) ha riscontrato subito l’immediata necessità di integrare il sostegno psicologico con le altre attività mediche. Oggi, operando nel campo rifugiati di Dar Es Salam, nella regione del lago Ciad, gli psicologi di MSF ascoltano le storie di orrore e continua paura che affliggono la vita quotidiana dei sopravvissuti. Tra i pazienti che necessitano di supporto psicologico nella clinica Msf del campo rifugiati, uno su quattro mostra sintomi di depressione. Disordini del sonno, gravi reazioni emotive o stress post-traumatico sono frequenti. “Ho incontrato A., una ragazza di 16 anni fuggita da Baga, in Nigeria” racconta Forline Madjibeye, psicologa Msf. “Entrambi i suoi genitori sono stati uccisi, così come i suoi vicini. Ha preso per mano il piccolo fratellino e suo nipote e, con loro, i figli dei vicini ed è fuggita fino ad arrivare qui. Ho parlato con lei ieri e mi ha raccontato che non ha ancora ricevuto il suo tesserino per i rifugiati del campo e non ha accesso al cibo. I bambini piangono perché hanno fame”. La fuga da questa situazione e le condizioni di vita estremamente difficili si aggiungono ai già persistenti effetti psicologici di un tale trauma. Secondo Forline, la responsabilità di prendersi cura di sei bambini in un campo rifugiati, in aggiunta a ciò che ha vissuto in Nigeria, ha avuto un forte impatto su A.. La ragazza continua a rivivere la paura, non riesce a dormire, è estremamente stressata e soffre di depressione a causa del suo futuro del tutto incerto. “Vorremmo restituire ad A. il suo equilibrio psicologico, in modo che possa gestire meglio la paura e la tristezza che sta vivendo e prendersi cura di se stessa e dei bambini”, continua Forline. “Non è una situazione facile e molte altre persone purtroppo hanno vissuto situazioni simili. Così la incoraggio a condividere la sua esperienza con gli altri rifugiati e a non rimanere in casa da sola.” Con l’aumento della violenza nella regione, l’insicurezza accompagna questi rifugiati sin dalla loro partenza. Sebbene possano aver creduto di fuggire verso la salvezza, sono invece ancora traumatizzati, non si sentono al sicuro e, quindi, continuano a rivivere il trauma. ‘Casa’ è oggi un insieme di tende all’aperto nel bel mezzo del deserto, dove restano esposti al pericolo di ulteriori attacchi. Aurelia Morabito, una psicologa che ha lavorato per Msf nella regione del Lago Ciad negli ultimi due mesi, spiega che i sintomi che i pazienti presentano sono strettamente legati agli eventi traumatici che hanno vissuto, ma anche alle condizioni di vita e al sentimento di paura che si trovano ad affrontare all’arrivo. “Il processo di recupero è lungo. Le persone hanno assistito a cose orribili, sono diventate rifugiati e poi sono arrivate in un campo dove la vita è triste e molto dura. Inizialmente, soffrono di stress post-traumatico, non riescono a dormire. Ma non hanno altra scelta che rimanere. Non sono solo vittime di Boko Haram, devono anche affrontare un processo per accettare la vita da rifugiato, prendersi cura di loro stessi in un luogo diverso e dover convivere con la realtà di non avere idea di ciò che succederà domani." Dall’avvio del programma a marzo, gli psicologi di Msf hanno assistito 524 pazienti. Le équipe offrono consulti individuali, familiari o di coppia e i bambini possono prendere parte a un workshop di disegno settimanale per esprimere ciò che sentono. “È più facile per i bambini esprimere le loro paure attraverso il disegno”, dice Aurelia. “Dopo, parliamo dei disegni con loro e i loro genitori per aiutarli a controllare le loro paure. Ad ogni sessione, i bambini raccontano storie orribili attraverso i loro disegni. Vediamo immagini di armi, elicotteri e di persone decapitate. Ascoltiamo storie di bambini che hanno lasciato la Nigeria, per poi vivere un altro attacco nel Niger, tornare in Nigeria e vedere ancora violenza. Molti di loro sono fuggiti da soli nella notte o hanno trascorso la notte nascosti in acqua, sperando che nessuno li trovasse.” L’obiettivo dell’équipe di aiuto psicologico di Msf è di fornire supporto ai rifugiati per attenuare il peso del trauma e assicurarsi che abbiano un esperto a disposizione con cui parlare ogni volta che ne abbiano bisogno, in uno spazio sicuro e confidenziale. “Attraverso le nostre sedute, gli psicologici di Msf ascoltano e provano a riportare alla normalità le reazioni dei rifugiati”, spiega Aurelia. “Questo aiuta e rassicura i pazienti mentre entrano in contatto con gli altri e condividono le loro esperienze. Siamo consapevoli di non poter annullare del tutto la sofferenza ma possiamo aiutarli ad affrontare meglio le loro reazioni.”