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Referendum. Madrid «esautora» la polizia locale catalana

Lucia Capuzzi sabato 23 settembre 2017

Mossos d'Esquadra impegnati per controllare le proteste a Barcellona (Ansa)

Il governo spagnolo ha assunto il controllo dei Mossos, la polizia della regione automa della Catalogna, e ha creato un comando unico di polizia. Fino a domenica prossima, Mossos d'Esquadra, Guardia Civil e polizia nazionale sono agli ordini del colonnello Diego Pérez de los Cobos, numero tre del ministero dell'Interno. La Generalitat è subito insorta. Mentre il comandante dei Mossos, Josep Lluis Trapero ha annunciato che lui e i suoi uomini non accettano la decisione.

Intanto, non accenna a sgretolarsi la politica del "muro contro muro" messa in atto da Spagna e Catalogna sul referendum indipendentista del primo ottobre. Anzi, ora dopo ora, la tensione aumenta. «Vutarem» (voteremo, in catalano). «No votarán» (non voterete, in castillano). A otto giorni dalla data prevista per l’“independence day”, Spagna e Catalogna restano arroccate sulle rispettive posizioni. Nel mentre, i “duellanti” iberici affilano le spade. Madrid sta facendo ricorso a tutto l’armamentario legale a propria disposizione per fermare il voto. Dopo il sequestro delle schede, la magistratura ha ordinato l’oscuramento del sito su cui è pubblicata la lista dei seggi. La Procura generale poi ha denunciato per «sedizione» le migliaia di manifestanti che mercoledì hanno riempito le piazze dopo gli arresti del “gotha” secessionista. Tutti i quattordici fermati sono stati rilasciati, incluso Josep María Jové, braccio destro del vicepresidente catalano, Oriol Junqueras. La Generalitat (governo regionale di Barcellona) ne ha deciso la rimozione dall’incarico di segretario dell’Economia per evitargli il pagamento della maxi-multa da 12mila euro al giorno, impostagli dalla Corte costituzionale per il suo ruolo nella preparazione della consultazione del primo ottobre.
Jové e gli altri cinque liberati ieri, rimangono, però, indagati per disobbedienza, abuso di potere e presunta malversazione. Ora, nel mirino dei giudici sono finiti anche i dimostranti. Si tratta di un’accusa contro ignoti data l’impossibilità di identificare i partecipanti ai cortei. Unica eccezione sono il dirigente dell’Asamblea nacional catalana, Jordi Sánchez, e di Ómniun, Jordi Cuixart, che hanno incitato la folla a mantenere il presidio. In base all’articolo 544 del codice penale, se riconosciuti colpevoli di «ribellione», rischiano fino a quindici anni di carcere. Una tale eventualità non ha impedito, ieri, il moltiplicarsi delle manifestazioni separatiste. Tremila studenti hanno occupato l’edificio storico dell’Universitat de Barcelona. Nel cortile interno dell’ateneo, i cui portici sono stati riempiti di “esteladas” (la bandiera simbolo dell’indipendenza), i giovani hanno letto un manifesto in difesa del referendum. In altri punti “caldi” della metropoli – dal tribunale alle sedi dei partiti catalanisti – ci sono stati cortei. La mobilitazione – garantiscono dal fronte separatista – andrà avanti fino a domenica prossima. Il governo spagnolo ha preso molto sul serio tale eventualità. E ha messo a punto le proprie contromisure. Il ministero dell’Interno ha inviato nella regione un contingente di circa seimila poliziotti per coaudivare gli agenti locali nel mantenimento dell’ordine. Il riferimento è all’ipotesi di tumulti pro separazione. Sullo sfondo, però, c’è anche la questione del terrorismo: proprio ieri, la guardia civil ha arrestato a Vinaroz un 24enne di origine marocchina per i suoi legami con il terrorismo jihadista. A quanto pare, avrebbe collaborato con la cellula che ha organizzato l’attacco di Barcellona e Cambrils. In ogni caso, nel timore di una “reazione” da parte del “popolo secessionista”, le forze dell’ordine sono state alloggiate fuori dalla città. E precisamente in tre navi crocera attraccate nel porto di Barcellona. Un tale dispiegamento sarà sufficiente a fermare il voto?
Forse. Difficile, però, che spenda il fuoco separatista. Quest’ultimo, anzi, sembra riaccendersi anche altrove. In particolare nei Paesi Baschi. Il cui esecutivo nazionale, guidato dal partito nazionalista, intende approfittare del momento di debolezza dell’esecutivo centrale per reclamare il trasferimento delle 37 competenze, a lungo al centro di un braccio di ferro con Madrid. In caso contrario, i deputati del gruppo basco hanno ventilato la possibilità di non votare il bilancio governativo.

Intanto, la macchina della disinformazione e della "fake news" messa in moto dalla Russia nelle passata campagna presidenziale statunitense e in recenti votazioni cruciali in Europa funziona "a pieno ritmo" anche in Catalogna. Lo denuncia in prima pagina il quotidiano spagnolo El Pais, sostenendo di aver compiuto un'analisi approfondita e con strumentazione avanzata degli account web filo-russi e dei profili sociali. "Dopo la campagne segrete per la Brexit, a favore di Marine Le Pen e della destra tedesca, il Cremlino ha visto nell'indipendentismo catalano un'altra opportunità per approfondire le fratture europee e consolidare la sua influenza internazionale", scrive El Pais.