Il ministro delle Finanze del Bangladesh, Abul Maal Abdul Muhith ha chiesto ancora una volta a Muhammad Yunus di dimettersi dalla guida della “sua” Grameen Bank per raggiunti limiti d’età. Secondo le dichiarazioni rilasciate dal ministro alla
Bbc, da un anno il governo ha chiesto al “banchiere dei poveri” di «ritirarsi dopo avere contribuito alla transizione». Queste posizioni, motivate dai 70 anni di Yunus – età in cui abitualmente i dipendenti degli istituti di credito privati vanno in pensione – riflette, in realtà, anche le tensioni tra l’esecutivo bengalese guidato dalla Lega Awami e il Premio Nobel per la Pace, alfiere del microcredito proprio attraverso la Grameen Bank, da lui fondata quarant’anni fa.«Ho suggerito a Yunus che dovrebbe farsi da parte e trasferire i poteri al suo vice». Una richiesta rifiutata da Yunus. Quest’ultimo teme che, alla sua uscita di scena, la pressione del governo sull’istituto di credito diventi insostenibile. Negli ultimi tempi, infatti, la Grameen è costretta a subire critiche e attacchi da parte delle istituzioni non solo in Bangladesh ma anche in India e altrove. «Quando sarà il tempo, la transizione richiederà necessariamente un ambiente favorevole e sostegno sia interno sia esterno agli azionisti per assicurare che l’istituto continui ad essere totalmente dedicato alla missione per i poveri», ha dichiarato Yunus all’agenzia
Reuters. Il Premio Nobel per la Pace è da tempo al centro di una polemica per sospette irregolarità finanziarie nella gestione dell’istituto bancario in cui il governo del Bangladesh ha una quota del 25 per cento. Lo scandalo era scoppiato lo scorso anno con le rivelazioni di un documentario trasmesso alla televisione norvegese su una presunta frode fiscale che riguarderebbe ingenti fondi versati nel passato a Yunus. Sette miliardi di taka bengalesi (74,5 milioni di euro) destinati alla Grameen Bank, sarebbero stati versati nel 1996 alla Grameen Kalyan, organizzazione operante nel settore della salute. I fondi, solo in parte successivamente restituiti alla Banca, erano stati raccolti da donazioni provenienti da diversi Paesi, tra i quali Norvegia, Svezia, Olanda e Germania. Le indagini del governo di Oslo non hanno evidenziato alcuna irregolarità, ma il documentario ha accentuato le critiche verso l’operato di Yunus e il sistema da lui avviato che ha fornito finora 10 miliardi di dollari in prestiti a milioni di individui, in maggioranza donne, con il fine di avviare piccole attività imprenditoriali. Un successo negato da esperti e testimoni citati nel documentario norvegese, che parlano di un aggravarsi della spirale dei debiti e della povertà per molti dei "beneficiari" dell’iniziativa di Yunus.Lo scorso gennaio, il primo ministro del Bangladesh, la signora Sheikh Hasina Wajed, ha rincarato la dose, ribadendo le accuse di frode fiscale. Molti ritengono che si tratti di un “attacco politico” data la manifesta intenzione di Yunus, dal 2007, di candidarsi come rivale proprio della Wajed. Ora, una commissione di cinque esperti designata dal governo di Dacca sta lavorando per verificare le accuse e presentare entro marzo le sue conclusioni.I sostenitori del Premio Nobel si sono mobilitati per sostenere Yunus e la sua campagna di microcredito. L’ex presidente irlandese ed ex Alto Commissario Onu per i Diritti umani, Mary Robinson, oggi a capo dell’organizzazione Amici di Grameen, con base a Parigi, ha così commentato la richiesta del governo bengalese: «Il nostro gruppo è profondamente preoccupato per i continui attacchi, politicamente motivati, contro il professor Yunus e la Grameen Bank».