Bangladesh. L'estremismo censura anche i testi scolastici
Ogni giorno di più il Bangladesh sembra sprofondare inesorabilmente nel vortice del fondamentalismo islamico. Non bastava lo stillicidio di blogger atei o musulmani “eretici” nel corso degli ultimi anni o la lunga lista di attentati a bersagli stranieri, dal cooperante italiano Cesare Tavella alle vittime dell’esplosione del luglio scorso a Dhaka (nove solo gli italiani, i cui parenti sono stati ricevuti l’altro ieri da papa Francesco). Ora la notizia è che, a fare le spese del crescente furore delle frange più estremiste, è persino una gloria locale come il poeta Rabindranath Tagore, Nobel per la letteratura nel 1913.
Mai, sino a oggi, i custodi di quella che, a tutti gli effetti è una malintesa ortodossia, si erano spinti a tanto. Oggi, invece, si scopre che la massiccia distribuzione di testi scolastici per i bambini delle elementari, da poco avvenuta capillarmente, è stata accompagnata da una severa e metodica censura di autori considerati poco «consoni». Qualcosa di simile a quanto accaduto in India negli ultimi anni, tanto da far parlare – in quel caso – di «zafferanizzazione in corso» (il giallo zafferano è il colore degli asceti indù).
Un operatore europeo, da anni attivo in ambito culturale in Bangladesh, segnala allarmato: «Sono scomparsi dalle pagine tutti i testi, citazioni, brani di autori non musulmani, o musulmani ma non abbastanza “ortodossi”, o ambientati in Paesi e storie di altre religioni». Tra questi, appunto, Tagore, reo di essere indù. Sì, proprio l’autore di Mio Bengala dorato: una canzone, scritta nel 1905, che si riferisce al colore dorato delle risaie prima del raccolto, le cui prime dieci righe sono state adottate nel 1972 come inno nazionale del Bangladesh. «Una silenziosa “purga” – di cui nessuno riconosce la responsabilità – per proteggere gli scolari da idee strane, per esempio che qualche cosa di bello e di buono può venire anche da “altri”, e che il Bangladesh ha anche minoranze che hanno i loro diritti', commenta amara la nostra fonte.
La mossa del governo non è passata inosservata: si sono verificate proteste vibrate, commenti preoccupati e richieste da più parti di ritirare i libri incriminati, ripristinando il diritto di cittadinanza per gli autori censurati. Intervistato dal Daily Star, principale quotidiano di lingua inglese, il professore Syed Manzoorul Islam, in un articolo dal titolo «Perché questa lapalissiana negligenza?», osserva che «il nostro canone letterario vanta contributi di autori musulmani, indù e buddisti e di pensatori di altre religioni».
Per ora l’unico risultato ottenuto dalla galassia dei contrari è l’istituzione di una commissione di inchiesta. Nel frattempo, però, alcuni movimenti fondamentalisti si sono congratulati con il governo, perché i cambiamenti corrispondono a richieste da tempo avanzate. Non è fuori luogo incrociare il processo di «pulizia didattica» in corso con la diffusione a macchia d’olio dell’ideologia fondamentalista in un Paese che solo fino a qualche anni fa era additato a campione dell’islam moderato. Se il tessuto popolare rimane ancora in larga parte ancorato a un atteggiamento di fondo tollerante (interpellando i missionari sul posto il mantra è: «Questo è un popolo accogliente »), non si può non constatare che il cambiamento di clima in atto è direttamente collegato alla proliferazione incontrollata di madrasse (scuole coraniche) che negli ultimi decenni sono state finanziate da Paesi del Golfo «per reislamizzare i bengalesi (considerati musulmani all’acqua di rose)», come spiega il citato operatore europeo.
Le madrasse «coprono i buchi» del sistema educativo bengalese, tant’è che il costo di iscrizione dei ragazzi è persino inferiore della scuola statale. A ciò va aggiunto che nemmeno i giovani provenienti dalle famiglie ricche, allevati in prestigiose università private e internazionali, sono immuni dal virus dell’intolleranza e del fanatismo: la strage del luglio scorso ce ne ha dato una triste conferma.